ISSN 2039-1676


9 giugno 2015 |

La declaratoria di non imputabilità  dell'infraquattordicenne non deve ridurre le garanzie poste a tutela del minore

Cass., Sez. II, 10 aprile 2015 (dep. 22 aprile 2015), n. 16769, Pres. Fiandanese, Rel. Gallo

 

1. La Corte di Cassazione torna a deliberare su una questione sulla quale, negli anni passati, aveva fornito soluzioni differenti ma che, con l'ultima pronuncia, sembra trovare una definizione univoca.

Si tratta della declaratoria di non imputabilità che il Tribunale per i Minorenni deve pronunciare, anche d'ufficio, ai sensi dell'art. 26 D.P.R. 448/1988 quando accerti - o anche solo dubiti (ex art. 8 c. 2 e 3 D.P.R. 448/1988) - che il minore imputato, al momento della commissione del fatto, non avesse compiuto i 14 anni di età.

Il punto controverso, che ha dato luogo in passato a vari ricorsi per cassazione e alle relative pronunce difformi da parte della Suprema Corte, riguarda la necessità o meno che il Tribunale per i Minorenni proceda comunque all'accertamento della responsabilità dell'imputato e delle ragioni del mancato proscioglimento nel merito, prima di dichiararne il difetto di imputabilità per minore età.

Il presente giudizio di legittimità è derivato dal ricorso proposto dai genitori del minore M.A. avverso la sentenza con la quale, in data 22/08/2013, il G.I.P. presso il Tribunale per i Minorenni di Brescia aveva dichiarato non doversi procedere nei confronti del loro figlio, ai sensi degli artt. 26 D.P.R. 448/1988 e 97 c.p., per essere l'imputato minore di 14 anni e, quindi, non imputabile.

I ricorrenti hanno lamentato il fatto che il giudice di merito avrebbe dato della norma di diritto minorile un'interpretazione non conforme alla Costituzione, poiché l'immediata declaratoria di non imputabilità non consente né la possibilità di difesa, né il contraddittorio, né lo svolgimento di indagini in sede camerale, con conseguente iscrizione nel casellario della sentenza emessa nei confronti di M.A. (nella specie, per un'ipotesi di reato gravissima), senza alcun previo accertamento in merito alla penale responsabilità del ragazzo.

 

2. Conviene, a questo punto, sinteticamente esporre i due divergenti indirizzi interpretativi assunti dalla Cassazione nel tempo.

La Suprema Corte nel 2008[1] aveva sostenuto che la sentenza di non luogo a procedere per difetto di imputabilità del minore postula il necessario accertamento della responsabilità dell'imputato e delle ragioni del mancato proscioglimento nel merito, sebbene tali ragioni possano trovare anche motivazione implicita. L'accertamento di responsabilità si renderebbe imprescindibile poiché una declaratoria di siffatto tipo può comportare comunque l'applicazione di misure di sicurezza.

Solo l'anno successivo[2], tuttavia, la Corte aveva mutato radicalmente orientamento ed aveva statuito che la previsione di cui all'art. 26 D.P.R. 448/1988 impone al giudice di dichiarare immediatamente con sentenza, in ogni stato e grado del procedimento, il non luogo a procedere quando accerti che l'imputato fosse minore degli anni 14 al momento della commissione del fatto, giacché l'art. 97 c.p. stabilisce una presunzione assoluta di non imputabilità e, quindi, anche di assoluta incapacità processuale. Conseguentemente, al giudice non sarebbe consentito il preventivo accertamento volto a verificare l'eventuale insussistenza del fatto o la non attribuibilità dello stesso al minore imputato, prima di emettere la pronuncia di cui all'art. 26 D.P.R. 448/1988, attesa l'ultroneità di qualsivoglia indagine in relazione ad un fatto che la legge non consente di perseguire.

Nel 2012[3], però, la Corte di Cassazione è ritornata sui suoi passi ed ha privilegiato il precedente indirizzo, stabilendo che la sentenza di non luogo a procedere per difetto di imputabilità del minore postula il necessario accertamento sia della responsabilità dell'imputato che delle ragioni del suo mancato proscioglimento nel merito.

In motivazione la Corte ha osservato, con riferimento al diverso orientamento del 2009, che esso sarebbe incondizionatamente da condividere se nel vigente codice penale non fosse tutt'ora presente ed "operante" - pur dopo la parziale "sterilizzazione" operata dalla Corte Costituzionale[4] - l'art. 224, il quale prevede la possibilità di applicare la misura di sicurezza del riformatorio giudiziario o della libertà vigilata al minore non imputabile, se ritenuto socialmente pericoloso.

Tale posizione è stata ribadita nel 2014, allorché la Cassazione ha affermato che la sentenza di non luogo a procedere per difetto di imputabilità del minore, postulando il previo accertamento di responsabilità dell'imputato e delle ragioni del mancato proscioglimento nel merito, è illegittima qualora riguardi un reato perseguibile a querela di parte e non sia stata previamente accertata la sussistenza della querela, considerato che l'accertamento della procedibilità dell'azione precede anche quello relativo all'imputabilità del minore[5].

 

3. La sentenza qui in commento, dopo aver richiamato brevemente le due diverse posizioni giurisprudenziali, individua i delicati profili di diritto che vengono in rilievo, li analizza e conclude ritenendo preferibile l'indicazione, ormai già maggioritaria, che richiede l'accertamento della responsabilità dell'imputato e delle ragioni del mancato proscioglimento nel merito, atteso che essa appare "correttamente orientata secundum Constitutionem".

La Suprema Corte osserva, infatti, che la formula terminativa di cui all'art. 26 D.P.R. 448/1988 non può essere considerata ampiamente liberatoria come lo sono quelle previste dall'art. 129 c.p.p., poiché a seguito di essa è possibile l'applicazione dell'art. 224 c.p., e quindi di provvedimenti anche fortemente incisivi sulla libertà personale o, quantomeno, su quella di movimento. Se si propendesse per la tesi opposta a quella sostenuta in sentenza, si verrebbe a configurare una sostanziale incompatibilità tra il dettato dell'art. 26 D.P.R. 448/1988 e quello dell'art. 224 c.p., atteso che, da un lato, il giudicante dovrebbe immediatamente dichiarare il non luogo a procedere, una volta effettuato il solo "accertamento anagrafico", dall'altro, però, dovrebbe essere in grado di conoscere il merito e di "scandagliare" la personalità del minore, allo scopo di valutare la necessità di adottare una misura di sicurezza. In tal caso "sembrerebbe permanere nell'ordinamento una irragionevole situazione di contrasto e di stallo, con evidenti implicazioni circa la sospetta costituzionalità dell'una o dell'altra norma o del loro combinato disposto".

L'orientamento contrario - prosegue la sentenza in esame - va peraltro respinto anche perché l'interpretazione da esso proposta pone l'art. 26 D.P.R. 448/1988 in contrasto con diverse norme sia di fonte costituzionale (artt. 3, 10, 24 c. 2, 76, 111, 112, 117 Cost.) che di fonte  sovranazionale (in particolare l'art. 40 della Convenzione di New York[6] e l'art. 6 della CEDU[7]), oltre a consentire l'emissione di un provvedimento giurisdizionale in materia penale senza che l'indagato o l'imputato sia informato del contenuto dell'accusa.

Un'interpretazione conforme alla Costituzione impone perciò al giudice, prima di dichiarare la non punibilità per minore età, di porsi nella condizione di escludere che l'infraquattordicenne possa legittimamente aspirare ad un proscioglimento nel merito. Invero, se uno dei principi fondamentali del diritto processuale minorile è quello della rapida fuoriuscita dal circuito processuale, nondimeno esso deve essere perseguito con "le cadenze, i tempi e, soprattutto, le garanzie che caratterizzano il processo penale".

La Corte annulla, quindi, la sentenza impugnata con rinvio al Tribunale per i Minorenni di Brescia per un nuovo giudizio nel quale il Tribunale dovrà attenersi al principio di diritto indicato.

 

4. Sulla questione affrontata dalla Cassazione vi sono opinioni discordanti anche in dottrina.

In base ad un primo orientamento, l'art. 26 D.P.R. 448/1988 pone al pubblico ministero una "preclusione ad ogni accertamento supplementare (...) diretto a conseguire eventuali epiloghi più favorevoli all'imputato"[8]; il testo della norma, infatti - benché sarebbe apprezzabile, su un piano dei valori, la tutela del "diritto del minore a non vedersi prosciogliere, solo per effetto della minore età, per un reato insussistente o, comunque, da lui non commesso" -, non lascerebbe "margini così ampi" al pubblico ministero, imponendogli l'attivazione del meccanismo di definizione anticipata del procedimento, salvo che ritenga di chiedere l'applicazione di una misura di sicurezza, nel qual caso sarebbe lo stesso art. 224 c.p. ad imporre l'accertamento della commissione del reato[9].

Altri Autori si pongono su una posizione opposta: benché l'art. 26 cit. si informi ai principi di minima offensività e di destigmatizzazione - vale a dire all'esigenza di dichiarare la superfluità del processo il prima possibile, al fine di evitare inutili effetti di etichettamento del minore - ed a quelli di autoselettività e di deflazione - ovvero alla necessità di escludere dal processo fatti e soggetti penalmente non rilevanti -, la pubblica accusa sarebbe comunque tenuta a svolgere ulteriori indagini in ordine alla sussistenza del fatto di reato ed alla responsabilità del minore, poiché dalla declaratoria di cui all'art. 26 D.P.R. 448/1988 possono scaturire conseguenze negative per il minore, quali l'applicazione di una misura di sicurezza e l'iscrizione nel casellario giudiziale (ai sensi dell'art. 3 c. 1 lett. f D.P.R. 313/2002)[10].

La maggior parte degli studiosi concorda, invece, sulla prevalenza delle cause di proscioglimento più favorevoli all'imputato quando la non colpevolezza risulti accertata: ciò nell'interesse sia morale che giuridico del minore, aspetto fondamentale anche sotto il profilo educativo[11].

 

5. Tornando alla sentenza in esame, vale la pena rilevare come essa affronti una questione di notevole rilevanza pratica. Infatti, il numero di infraquattordicenni denunciati ai Tribunali per i Minorenni è tutt'altro che trascurabile[12] e la prassi degli organi giudiziari in alcuni casi è proprio quella di procedere alla declaratoria di non imputabilità senza effettuare altri accertamenti se non quelli concernenti l'età, mentre spesso l'interesse del minore è rivolto ad ottenere una delle formule definitorie di cui all'art. 129 c.p.p. (ne è una riprova il numero di ricorsi per cassazione che sono stati presentati nell'arco di pochi anni). Infatti, se è importante la rapida fuoriuscita dal circuito penale, per evitare al minore una situazione che può generare ansia e stigmatizzazione, altrettanto determinanti ai fini educativi e di un equilibrato sviluppo della sua personalità sono il riconoscimento e l'affermazione della sua estraneità rispetto alla commissione di un reato.

Benché la lettera dell'art. 26 D.P.R. 448/1988 di per sé non richieda accertamenti sulle condizioni di procedibilità o nel merito dell'imputazione, una mera interpretazione letterale condurrebbe alla situazione paradossale - e sicuramente non perseguita dal legislatore del 1988, che è stato particolarmente attento alla tutela dei minori - di privare proprio i soggetti più giovani di diritti e di garanzie fondamentali (quelli richiamati nella sentenza) dei quali, invece, possono beneficiare sia i minori di età compresa tra i quattordici ed i diciotto anni che i maggiorenni.

La Cassazione, dopo alcune incertezze degli anni passati, con la sentenza in esame privilegia, quindi, l'interpretazione sistematica dell'art. 26 cit., raccordandolo con le indicazioni costituzionali e sovranazionali in tema di interesse del minore e di giustizia penale minorile, al fine di garantire una tutela rafforzata - e non ridotta - ai minori in una fase particolarmente delicata del loro percorso di maturazione e di crescita.

 

 


[1] Cass., Sez. V, ud. 04/11/2008 (dep. 13/11/2008), n. 42507, Rv. 241935: nel ricorso per cassazione gli esercenti la responsabilità genitoriale sul minore imputato avevano lamentato inosservanza di legge e vizi motivazionali in relazione alla mancata assoluzione per insussistenza del fatto o alla mancata archiviazione per difetto di querela. Si veda anche Cass., Sez. V, ud. 23/09/2008 (dep. 30/10/2008),  n. 40550,  Rv. 241722.

[2] Cass., Sez. V, ud. 25/11/2009 (dep. 29/12/2009), n. 49863, Rv. 245815.

[3] Cass., Sez. V, ud. 17/01/2012 (dep. 11/05/2012), n. 18052, Rv. 253758.

[4] Corte cost., 12/01/1971 (dep. 20/01/1971),  n. 1, la quale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 224 c. 2 c.p., nella parte in cui rendeva obbligatorio ed automatico, per i minori degli anni 14, il ricovero per almeno tre anni in riformatorio giudiziario, in caso di commissione di delitto non colposo per il quale è stabilita la pena dell'ergastolo o della reclusione non inferiore nel minimo ad anni tre.

[5] Cass., Sez. V, ud. 23/04/2014 (dep. 11/06/2014 ), n. 24696, Rv. 260572.

[6] Convenzione sui diritti del fanciullo, ONU, New York, 1989, ratificata dall'Italia con L. 176/1991. L'art. 40 richiede la rapidità delle procedure e delle decisioni che riguardano soggetti minorenni. Si veda anche l'art. 20 delle Regole Minime per l'amministrazione della giustizia minorile ('Regole di Pechino'), ONU, 1985.

[7] L'art. 6 della CEDU sancisce il diritto ad un giusto processo (Right to a fair trial).

[8] Peroni F., Sub art. 26, in Chiavario M. (coordinato da), Commento al codice di procedura penale, Leggi collegate, I, Il processo minorile, UTET, Torino, 1994, p. 278.

[9] Renon P., L'obbligo di immediata declaratoria di non punibilità, in Palermo Fabris E., Presutti A. (a cura di), Diritto e procedura penale minorile, Giuffrè, Milano, 2002, p. 436.

[10] Tassi A., Art. 26. Obbligo della immediata declaratoria della non imputabilità, in Giostra G. (a cura di), Il processo penale minorile. Commento al d.p.r. n. 448/1988, Giuffrè, Milano, 2009, p. 286. 

[11] Si vedano sul punto Tassi A., op. cit., pp. 286-287; Di Nuovo S., Grasso G., Diritto e procedura penale minorile. Profili giuridici, psicologici e sociali, Giuffrè, Milano, 2005, pp. 254-255. Di diverso avviso è, invece, la dottrina che ritiene che la mancanza di età minima non consenta l'instaurazione del rapporto processuale e che, pertanto, la pronuncia sull'imputabilità collegata ad una causa presunta ex lege debba precedere qualsiasi altra pronuncia: Cocuzza A., voce Procedimento a carico di minorenni, in Enc. giur. Treccani, XXIV, Ed. Enc. it., 1991, p. 17.

[12] Per alcuni riferimenti statistici, sia consentito rinviare a Mariani E., Crisi del sistema sanzionatorio e prospettive evolutive. Un'analisi criminologica dalla giustizia penale minorile a quella ordinaria, Maggioli Editore, Sant'Arcangelo di Romagna, 2014, pp. 102-104.