ISSN 2039-1676


9 dicembre 2014 |

Ancora una sentenza additiva sull'art. 516 c.p.p.: per il fatto diverso oggetto di contestazione dibattimentale "fisiologica" l'imputato può chiedere il giudizio abbreviato

Corte Cost., sent. 5 dicembre 2014, n. 273, Pres. Napolitano, Rel. Frigo

 

Per scaricare il testo della sentenza in commento, pubblicata sul sito www.giurcost.org, clicca qui.

Segnaliamo immediatamente ai lettori, con riserva di commentarla in dettaglio mediante un prossimo intervento, la sentenza della Corte Costituzionale n. 273, depositata il 5 dicembre 2014, con la quale è stata dichiarata la illegittimità costituzionale dell'art. 516 c.p.p., nella parte in cui non prevede la facoltà dell'imputato di richiedere al giudice del dibattimento il giudizio abbreviato relativamente al fatto diverso emerso nel corso dell'istruzione dibattimentale, che forma oggetto della nuova contestazione.

È notoriamente tormentata la storia dei rapporti tra le modalità di accesso ai riti speciali e gli strumenti che, come le «contestazioni suppletive»,  garantiscono la necessaria flessibilità dell'imputazione, in un sistema che vorrebbe identificare nel dibattimento (e dunque in una fase di tendenziale preclusione dei riti alternativi) la sede privilegiata per l'accertamento del fatto.

L'idea originale del legislatore, che aveva immaginato preclusioni insuperabili, è stata posta in crisi per un verso dalla progressiva considerazione dell'accesso al rito come oggetto di un diritto dell'imputato, e per altro verso dalla (contrastata ma non superata) giurisprudenza che considera ammissibili le  modificazioni "tardive" dell'imputazione, cioè quelle che non registrano una fisiologica mutazione della base cognitiva, ma sono operate in base a circostanze già note, per correggere atti d'accusa errati o negligenti.

Storicamente, il problema della «riapertura dei termini»  si è posto proprio per supplire alla patologia del sistema, con riguardo alla domanda di patteggiamento concernente fatti nuovi o diversi posti ad oggetto di contestazioni "tardive" operate dal pubblico ministero nel dibattimento (Corte cost., 30 giugno 1994, n. 265). La stessa logica di apertura aveva permeato l'intervento della Consulta in tema di oblazione, in tal caso a prescindere, addirittura, da ogni distinzione tra modifiche fisiologiche e non della imputazione (Corte cost., 29 dicembre 1995, n.  530)

Riguardo al giudizio abbreviato, com'è noto, la Corte costituzionale aveva manifestato resistenze ad operare una manipolazione analoga, in base essenzialmente alla convinzione di una sostanziale incompatibilità tra «ambiente dibattimentale» e fisiologia del rito speciale. La resistenza era venuta meno con la sentenza 18 dicembre 2009, n. 333, che aveva dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 517 c.p.p. (e, consequenzialmente, dell'art. 516) nella parte in cui non prevedeva la facoltà dell'imputato di richiedere al giudice del dibattimento il rito abbreviato relativamente al reato concorrente contestato in dibattimento (od al fatto diverso), quando la nuova contestazione concerneva un fatto che già risultava dagli atti di indagine al momento di esercizio dell'azione penale.

Rotto l'argine, e non senza qualche soluzione di continuità del discorso argomentativo, è poi venuta la «rimessione in termini»  per il giudizio abbreviato anche nei casi di contestazione "fisiologica" del reato concorrente, situazione nella quale non si deve proteggere l'imputato contro atteggiamenti potenzialmente elusivi della pubblica accusa, e per la quale tuttavia si è ritenuta prevalente la tutela dell'interesse ad una valutazione specifica, da parte dell'accusato, circa l'opportunità di definire con rito speciale ogni singola contestazione (sentenza 22 ottobre 2012, n. 237).

Così modificatosi il quadro, non aveva effettivamente gran senso che la rinnovata possibilità di accesso al rito speciale restasse esclusa per la contestazione "fisiologica" del fatto diverso, con una divaricazione che, come si è visto, la Corte aveva tra l'altro evitato riguardo alle modifiche "patologiche" della imputazione, ricorrendo allo strumento della illegittimità consequenziale.

La sentenza n. 273 del 2014 ha chiuso dunque il sistema. Il che, naturalmente, elimina profili di irrazionalità, pur accentuandone altri.

A tale ultimo proposito deve ritenersi che la Corte abbia considerato pacifica l'attivazione del meccanismo anche nel caso di concorso tra le imputazioni modificate o aggiuntive ed ulteriori addebiti, non interessati dalle variazioni introdotte dal pubblico ministero. Crescono dunque i casi di giudizio a doppio regime, ove alcune accuse sono valutate tenendo conto delle risultanze delle indagini preliminari, ed altre in base al solo compendio dibattimentale:  situazioni di obiettiva difficoltà per varie ragioni, non ultima per la verità l'individuazione  di una accettabile congruenza fra trattamento premiale e stato di progressione che il dibattimento aveva già raggiunto prima della richiesta di accesso al rito.

V'è da chiedersi, a questo punto, se trovi davvero giustificazione la perdurante resistenza della giurisprudenza di legittimità ad ammettere che l'imputato possa, nei termini di legge, proporre richiesta di giudizio abbreviato per una parte soltanto delle imputazioni che gli vengono mosse. Almeno, in questi casi, il risparmio di attività istruttorie dibattimentali sarebbe sempre effettivo, e si eliminerebbe tra l'altro una obiettiva stortura del sistema, che fa dipendere la possibilità per l'imputato di definire con vantaggi sul piano della pena il processo per un determinato reato (ad esempio quello accertato in flagranza, od oggetto di confessione) a seconda delle scelte del pubblico ministero circa la riunione o la separazione dei procedimenti.