15 marzo 2019 |
Detenuti al 41-bis e restrizioni orarie nella fruizione della TV
Magistrato di Sorveglianza di Novara, ord. 31 maggio 2018; Tribunale di Sorveglianza di Torino, ord. 19 dicembre 2018
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1. Le ordinanze in commento riguardano le restrizioni alla fruizione della televisione da parte dei detenuti sottoposti al regime differenziato di cui all’art. 41-bis o.p. In particolare, il Magistrato di Sorveglianza di Novara e il Tribunale di Sorveglianza di Torino si sono pronunciati sulla limitazione delle fasce orarie in cui i detenuti ristretti in regime differenziato possono guardare la TV, disposta dalla Direzione del carcere di Novara. Il provvedimento oggetto di reclamo, nello specifico, vieta la fruizione della TV dalle 24:00 alle 7:00.
Il provvedimento veniva adottato in conformità con quanto disposto dall’art. 14 della circolare DAP n. 3676/6126 del 2 ottobre 2017, laddove prevede che “la fruizione del televisore sarà consentito solo in orari stabiliti, con accensione dalle ore 07.00 e spegnimento non oltre le ore 24.00, al fine di non disturbare il riposo degli altri detenuti/internati”. Va sin da ora ricordato che su questa previsione si è di recente espresso il Garante dei detenuti nel Rapporto sul regime detentivo speciale ex art. 41-bis[1]: il Garante ha sollevato perplessità rispetto alla limitazione oraria della fruizione della TV e ha ritenuto la restrizione ingiustificata e sproporzionata, condividendo, sul punto, la valutazione posta alla base di un provvedimento del Magistrato di Sorveglianza di Roma[2]. Il Garante, pertanto, ha raccomandato la revisione dell’art. 14 co. 2 della Circolare, in modo da assicurare l’accesso all’informazione e, quindi, la fruizione dei canali televisivi senza il limite temporale oggi previsto.
2. La pronuncia del Magistrato di Sorveglianza di Novara tre origine da un reclamo ex art. 35-bis o.p. con cui un detenuto chiedeva di rimuovere le conseguenze dannose derivanti da un provvedimento della Direzione del carcere di Novara con cui veniva preclusa ai detenuti sottoposti al regime differenziato di cui all’art. 41-bis o.p. la visione della TV dalle 24:00 alle 7:00. Il detenuto lamentava l’illegittimità della restrizione, evidenziando l’insussistenza di ragioni di ordine e sicurezza che potessero giustificarla. In particolare, la fruizione della televisione, non solo non si pone, ad avviso del reclamante, in contrasto con le finalità del regime di cui all’art. 41-bis o.p., ma, anzi, favorisce lo svago e l’informazione, aspetti particolarmente rilevanti per i detenuti sottoposti al regime differenziato, che comporta la permanenza in camera detentiva per 22 ore al giorno. La limitazione di orario contenuta nel provvedimento censurato, quindi, comporterebbe un eccessivo sacrificio della posizione soggettiva del detenuto, traducendosi in una misura meramente afflittiva, in quanto non giustificata dalle ragioni di ordine e sicurezza pubblica che possono essere poste alla base delle limitazioni di cui all’art. 41-bis o.p.
Il Magistrato di Sorveglianza di Novara, con l’ordinanza in commento, ha accolto il reclamo proposto dal detenuto, disponendo la disapplicazione della circolare n. 3676/6126 del 2 ottobre 2017 e dell’odine di servizio adottato dalla Casa circondariale di Novara, nella parte in cui vietano la fruizione del televisore dalle ore 24.00 alle ore 7.00. La decisione si fonda sul seguente percorso motivazionale.
Anzitutto, l’ordinanza parte dall’assunto secondo cui, tra i poteri riconosciuti dalla legge al Magistrato di Sorveglianza dagli artt. 69 e 35-bis o.p., vi sono quelli di verificare se l’amministrazione penitenziaria, nell’esercizio dei poteri che le sono propri, ha leso i diritti soggettivi, costituzionalmente garantiti, del detenuto e, accertata la sussistenza e l’attualità del pregiudizio, di ordinare all’amministrazione di porre rimedio.
Nel caso di specie viene in rilievo il diritto all’informazione, riconducibile all’art. 21 Cost., che oltre a garantire la libera manifestazione del pensiero e la libertà di informare, tutela anche il diritto dei cittadini di informarsi. L’ordinanza, inoltre, ricorda, come la Corte costituzionale abbia specificato che l’art. 21 Cost. colloca la libertà di informazione tra i valori primari, assistiti dalla clausola dell’inviolabilità di cui all’art. 2 Cost., che “in ragione del loro contenuto, in linea generale si traducono direttamente e immediatamente in diritti soggettivi del detenuto, di carattere assoluto”[3]. Il diritto di informarsi, tuttavia, si legge nell’ordinanza, deve essere contemperato e bilanciato con altri valori costituzionalmente rilevanti, tra cui la potestà punitiva dello Stato e la sicurezza pubblica.
È in quest’ottica che deve essere valutata la legittimità della restrizione delle fasce orarie di fruibilità della TV, nei confronti del reclamante. Occorre, cioè, verificare se tale limitazione sia giustificata alla luce delle esigenze di ordine e di sicurezza pubblica che fondano il regime differenziato e, in particolare, se essa rientri nelle “misure di elevata sicurezza interna e esterna” adottabili, ai sensi dell’art. 41-bis co. 2-quater lett. a) o.p., per prevenire i contatti con l’organizzazione di appartenenza, con detenuti ad essa collegati o con organizzazioni contrapposte e con i detenuti a queste ultime legati.
I limiti alle restrizioni che possono essere imposte nell’ambito del regime differenziato sono stati chiariti dalla Corte costituzionale[4], la quale ha evidenziato che le restrizioni imposte dall’amministrazione penitenziaria devono essere congrue e proporzionate rispetto alle finalità di sicurezza e di ordine pubblico che il regime differenziato persegue e non devono essere tali da comprimere i diritti minimi inerenti ai bisogni primari della persona, che il detenuto conserva, nonostante la restrizione in regime di cui all’art. 41-bis o.p. La disposizione, infatti, consente all’amministrazione penitenziaria di limitare i diritti dei detenuti, a condizione che siano funzionali a prevenire i contatti con l’organizzazione, con la conseguenza che le restrizioni che esulano da quanto necessario devono ritenersi illegittime.
In applicazione di questo principio, il Magistrato di Sorveglianza ha accolto il reclamo ritenendo il divieto ingiustificato perché incongruo e sproporzionato rispetto agli obiettivi di prevenzione posti alla base del regime differenziato, nonchè irragionevole rispetto, da un lato, alla disciplina prevista in materia per i detenuti comuni e, dall’altro, alla disciplina relativa all’ascolto della radio, che non prevede alcuna limitazione oraria.
In particolare, la restrizione appare ingiustificata sia rispetto all’obiettivo di evitare comunicazioni tra detenuti appartenenti alla criminalità organizzata e con gli affiliati all’esterno, sia in relazione a esigenze di contenere il disturbo degli altri detenuti.
Sotto il primo profilo, non vi è la prova, si legge nell’ordinanza, che la visione della TV in orario notturno possa rappresentare l’occasione per un contatto tra i detenuti e l’esterno. Questo obiettivo è già stato assicurato, infatti, dalla selezione, prevista dalla citata circolare DAP del 2017, dei canali che i detenuti possono vedere, volta ad evitare comunicazioni con l’esterno, tramite l’invio di sms che scorrono sul video, soprattutto sui canali locali divenuti disponibili con il digitale terrestre. Se tale restrizione appare giustificata da esigenze di prevenzione, non altrettanto può dirsi del divieto di guardare la TV in orario notturno.
Quanto al secondo aspetto, non sussiste, ad avviso del Magistrato di Sorveglianza, l’esigenza di evitare il disturbo di altri detenuti. Infatti, i detenuti ristretti in regime differenziato sono collocati in camere singole dotate di porte blindate che restano chiuse durante tutta la notte ed impediscono la diffusione della luce proveniente dallo schermo della TV e attenuano notevolmente i rumori.
Il sacrificio risulta, inoltre, sproporzionato, in considerazione del rilievo del diritto su sui incide, cioè il diritto del detenuto di informarsi, che costituisce una “imprescindibile estrinsecazione di un diritto della personalità tutelato dall’art. 2 della Costituzione”: molti dei programmi di intrattenimento e di dibattito politico, la cui fruizione può costituire esercizio di tale diritto, vanno in onda proprio nella fascia oraria in cui al detenuto è preclusa la visione.
Da ultimo, la restrizione appare irragionevole sotto un duplice profilo. In primo luogo, il riferimento è alla disciplina prevista per i detenuti comuni, che non esclude la fruizione della TV in orario notturno, nonostante tali detenuti siano collocati in camere detentive con altre persone e non in stanze singole, come invece i detenuti al 41-bis, ai quali invece è imposta la restrizione. In secondo luogo, l’irragionevolezza si manifesta in relazione alla disciplina dell’utilizzo della radio per gli stessi detenuti sottoposti al regime differenziato, che non prevede alcuna limitazione di orario.
Alla luce di queste ragioni, il Magistrato di Sorveglianza di Novara ha ritenuto la che limitazione temporale nella fruizione della TV fosse ingiustificata e ha disposto la disapplicazione della circolare ministeriale n. 3676/6126 del 2 ottobre 2017 e dell’ordine di servizio adottato dalla Direzione della Casa circondariale di Novara.
3. Il Tribunale di Sorveglianza di Torino, invece, ha accolto l’impugnazione presentata dall’Amministrazione penitenziaria avverso l’ordinanza del Magistrato di Sorveglianza di Novara.
La pronuncia del Tribunale muove dalla considerazione secondo cui le ipotesi di reclamo sono previste dall’art 69 co. 6 o.p. e concernono: a) le condizioni di esercizio del potere disciplinare, la costituzione e la competenza dell'organo disciplinare, la contestazione degli addebiti e la facoltà di discolpa; b) l’inosservanza da parte dell'amministrazione di disposizioni previste dalla legge sull’ordinamento penitenziario e dal relativo regolamento, dalla quale derivi al detenuto o all'internato un attuale e grave pregiudizio all'esercizio dei diritti.
La ragione posta alla base del divieto di fruizione della TV in orario notturno non concerne – si legge nell’ordinanza – i motivi di sicurezza sottesi al regime differenziato, esigenza già assicurata dalla limitazione dei canali e dalla piombatura dei telecomandi. La ragione del divieto, infatti, si legge nell’ordinanza, è quella di non disturbare i riposo degli altri detenuti: l’atto che impone tale divieto è quindi animato da finalità prettamente amministrative, non sindacabili dal Magistrato di Sorveglianza. Ad avviso del Tribunale, la circolare non limita l’esercizio del diritto all’informazione, che viene ampiamente garantito dalla possibilità per i detenuti di guardare la TV dalle 7.00 alle 24.00, ma “si limita a disciplinare il suo esercizio in modo da rendere tollerabile la civile convivenza tra tutti i ristretti, con un atto dal sapore e dalle finalità squisitamente amministrative, su cui il Giudice di prime cure non avrebbe avuto potere di sindacato”.
Secondo il Tribunale, inoltre, non sussiste una lesione grave del diritto all’informazione, dal momento che i detenuti, da un lato, possono vedere repliche o ricevere aggiornamenti rispetto a eventi sportivi o di cronaca guardando i programmi televisivi nel corso della giornata e, dall’altro, hanno la possibilità “seppure irrazionale” di ascoltare la radio senza limitazioni di orario. Il carattere irrazionale del diverso regime della fruizione della radio rispetto a quello dalla TV, oggetto di specifica motivazione nell’ordinanza del Magistrato di Sorveglianza, non è, invece, oggetto di approfondimento nell’ordinanza del Tribunale, che vi fa solo, incidentalmente, riferimento.
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4. Alla luce delle due ordinanze esposte, è possibile formulare alcune osservazioni anche alla luce della giurisprudenza Costituzionale e di legittimità sul tema dei poteri del magistrato di sorveglianza rispetto alle decisioni dell’amministrazione penitenziaria.
Anzitutto, va osservato come, nei due provvedimenti, emerga una diversa concezione del potere del magistrato di sorveglianza rispetto alla tutela dei diritti dei detenuti. Da un lato, il Magistrato di Sorveglianza di Novara ha ritenuto di poter sindacare, in via incidentale e ai fini della sua disapplicazione, il provvedimento dell’Amministrazione penitenziaria, in virtù del potere conferitogli dall’art. 69 co. 6 lett. b), tramite il reclamo ex art. 35-bis o.p. A conclusioni opposte è giunto, invece, il Tribunale di Sorveglianza, che esclude il sindacato del Magistrato di Sorveglianza su un provvedimento “che lungi dal limitare l’esercizio del diritto all’informazione […] si limita a disciplinare il suo esercizio […] con un atto dal sapore e dalle finalità squisitamente amministrative”.
La questione dei poteri del magistrato di sorveglianza è, del resto, stata a lungo dibattuta e ancora oggi si riscontrano diversi orientamenti nella giurisprudenza di legittimità e di merito.
Sul punto, può ricordarsi come la Corte costituzionale abbia più volte affermato che lo status di detenuto non comporta la privazione dei diritti della persona costituzionalmente garantiti e che “la restrizione della libertà personale secondo la Costituzione vigente non comporta dunque affatto una capitis deminutio di fronte alla discrezionalità dell’autorità preposta alla sua esecuzione”[5]. Sulla base di questa affermazione è stato osservato[6] come, nel settore del diritto penitenziario, si sia assistito ad un sostanziale superamento della dicotomia tra diritto soggettivo e interesse legittimo: il magistrato di sorveglianza ha il potere di sindacare le decisioni dell’amministrazione penitenziaria nell’esercizio dei suoi poteri discrezionali.
Quanto allo strumento utilizzabile, la Corte costituzionale[7], chiamata a pronunciarsi sulla legittimità dell’esclusione dai poteri del Tribunale di Sorveglianza del controllo sulla congruità del provvedimento di applicazione del regime differenziato, lo ha individuato nel reclamo ex art. 14-ter o.p., rimedio generale per la tutela dei detenuti prima dell’introduzione del reclamo ex art. 35-bis o.p. Il reclamo ex art. 35-bis o.p. al magistrato di sorveglianza deve ritenersi oggi il rimedio esperibile per questo tipo di questioni[8]. In particolare, il potere di sindacato del magistrato di sorveglianza sarebbe riconducibile al potere di provvedere a norma dell’art. 35-bis o.p. sui reclami concernenti “l’inosservanza da parte dell’amministrazione di disposizioni previste dalla presente legge e del relativo regolamento, dalla quale derivi al detenuto o all’internato un attuale e grave pregiudizio all’esercizio dei diritti”, ai sensi dell’art. 69 co. 6 lett. b) o.p. Secondo questa impostazione, dunque, ammessa la sindacabilità in astratto da parte del magistrato di sorveglianza delle decisioni dell’amministrazione penitenziaria che comportano un grave e attuale pregiudizio all’esercizio dei diritti dei detenuti, residua in capo al magistrato di sorveglianza una valutazione concreta, da effettuare caso per caso. In particolare, si tratta di valutare se la posizione che viene in rilievo assume i caratteri del diritto soggettivo – e non di pretesa di mero fatto per cui è disponibile il rimedio di cui all’art. 35 o.p. –, e se nel caso di specie la pretesa è fondata e cioè se la limitazione del diritto è giustificata a fronte delle effettive esigenze di prevenzione.
La giurisprudenza di legittimità[9] successiva non sempre si è mostrata sensibile alle conclusioni della Corte costituzionale. In alcuni casi, infatti, la S.C. ha dichiarato il reclamo ex art. 35-bis inammissibile, sulla scorta della ritenuta natura di interesse legittimo della posizione soggettiva del detenuto di fronte all’esercizio di un potere discrezionale dell’amministrazione penitenziaria[10]. In altri, invece, la Cassazione ha fatto proprie le osservazioni della Corte costituzionale, valorizzando l’esistenza di un nucleo di posizioni soggettive di cui il detenuto rimane titolare in virtù di quel “residuo di libertà che non può e non deve essere rimesso alla discrezionalità amministrativa”[11] e che quindi sono tutelabili tramite il reclamo ex art. 35-bis o.p.
[1] V. Rapporto tematico sul regime detentivo speciale ex articolo 41-bis dell’Ordinamento penitenziario (2016-2018), in questa Rivista, con scheda di G. Mentasti.
[2] Trib. Sorv. Roma, ord. 27 settembre 2018, n. 4164.
[3] C. cost., sent. 24 marzo 1993, n. 112.
[4] C. cost., sent. 14 ottobre 1996, n. 351
[5] C. cost., sent. 11 febbraio 1999, n. 26.
[6] C. Fiorio, Diritti dei detenuti ed obblighi dell’amministrazione, in Libro dell’Anno del diritto 2014, Treccani, p. 653 e A. Marcheselli, La tutela dei diritti dei detenuti alla ricerca della effettività. Una ordinanza “rivoluzionaria” della Corte costituzionale, in Rass. penit., 2010, 3, p. 110 ss. a proposito di Cass., Sez. Un., 26 febbraio 2003, n. 25079.
[7] C. cost., sent. 28 maggio 2010, n. 190. La Corte, in questa occasione, era stata chiamata a pronunciarsi sulla legittimità costituzionale del co. 2-sexies dell’art. 41-bis o.p., modificato con la l. 15 luglio 2009, n. 94, nella parte in cui non prevede più il potere del giudice di sindacare il contenuto delle prescrizioni imposte con il provvedimento che applica il regime differenziato. La Corte, nel dichiarare la questione inammissibile, ha ritenuto che della disposizione si potesse fornire un’interpretazione costituzionalmente orientata e ha concluso che “la scomparsa del riferimento testuale al controllo sulla congruità dei mezzi rispetto ai fini, […] non ha certamente eliminato il controllo di legittimità sul contenuto dell’atto, in ordine all’eventuale violazione dei diritti soggettivi del detenuto”. Sul punto v. A. Della Bella, Il “carcere duro” tra esigenze di prevenzione e tutela dei diritti fondamentali, Giuffrè, 2016, pp. 299 ss.
[8] Sul punto v. A Della Bella, Il “carcere duro”, cit., pp. 300 ss.
[9] Per una più articolata analisi della giurisprudenza in materia v. A della Bella, I reclami ex art. 35-bis o.p. avverso le prescrizioni del regime detentivo speciale, in La tutela europea per violazione dei diritti dei detenuti, collana Giurisprudenza penale, sez. Itinerari, Giappichelli, Torino 2019, in corso di pubblicazione.
[10] Cass., Sez. I, 4 luglio 2014, n. 52965, Cass., Sez. I, 4 giugno 2014, n. 32842; Cass., Sez. I, 11 giugno 2014, n. 39966; Cass., Sez. I, 4 giugno 2014, n. 35488.
[11] Cass., Sez. I, 14 giugno 2017, n. 54117.