13 novembre 2014 |
Il processo civile punta sugli arbitri (e sono corrompibili)
Articolo pubblicato sul Corriere della Sera del 12.11.2014
Segnaliamo ai nostri lettori un articolo pubblicato ieri sul Corriere della Sera da Luigi Ferrarella. Nell'articolo, che può leggersi in allegato (clicca sotto su 'download documento'), Ferrarella segnala un interessante risvolto penalistico della recente riforma del processo civile, attuata con il d.l. 12 settembre 2014, n. 162 ("Misure urgenti di degiurisdizionalizzazione ed altri interventi per la definizione dell'arretrato in materia di processo civile"), conv. in l. 10 novembre 2014, n. 162.
In breve, l'art. 1 del citato d.l. stabilisce che "nelle cause civili dinanzi al tribunale o in grado d'appello pendenti alla data di entrata in vigore del presente decreto, che non hanno ad oggetto diritti indisponibili e che non vertono in materia di lavoro, previdenza e assistenza sociale, nelle quali la causa non è stata assunta in decisione, le parti, con istanza congiunta, possono richiedere di promuovere un procedimento arbitrale a norma delle disposizioni contenute nel titolo VIII del libro IV del codice di procedura civile"[1].
Tra le richiamate disposizioni del codice di procedura civile vi è anche l'art. 813, comma 2, che, a seguito di una modifica attuata nel 2006, stabilisce espressamente che "agli arbitri non compete la qualifica di pubblico ufficiale o di incaricato di un pubblico servizio".
In difetto della qualifica pubblicistica, osserva problematicamente Ferrarella, sembrerebbe doversi escludere la configurabilità dei delitti di corruzione in caso di compravendita della funzione svolta dagli arbitri. In tal senso, come può leggersi nell'articolo allegato, si è d'altra parte pronunciata nel recente passato la Corte di cassazione.
Per un approfondimento del problema v. in dottrina, prima della recente riforma, C. Benussi, I delitti contro la pubblica amministrazione, tomo I, I delitti dei pubblici ufficiali, 2a ed., in E. Dolcini, G. Marinucci, Trattato di diritto penale. Parte speciale, Padova, 2013, p. 81 s.
(Gian Luigi Gatta)
[1] In sede di conversione in legge si è precisato che "Tale facoltà è consentita altresì nelle cause vertenti su diritti che abbiano nel contratto collettivo di lavoro la propria fonte esclusiva, quando il contratto stesso abbia previsto e disciplinato la soluzione arbitrale. Per le controversie di valore non superiore a 50.000 euro in materia di responsabilità extracontrattuale o aventi ad oggetto il pagamento di somme di denaro, nei casi in cui sia parte del giudizio una pubblica amministrazione, il consenso di questa alla richiesta di promuovere il procedimento arbitrale avanzata dalla sola parte privata si intende in ogni caso prestato, salvo che la pubblica amministrazione esprima il dissenso scritto entro trenta giorni dalla richiesta".