ISSN 2039-1676


20 giugno 2014 |

La costruzione di una via italiana alla analisi del diritto processuale penale europeo nel manuale curato da Roberto Kostoris

Recensione di Roberto E. Kostoris (a cura di), Manuale di procedura penale europea, Giuffrè, 2014

Da alcuni anni, le più rilevanti modifiche concernenti il diritto processuale penale risultano di origine europea, tanto sul piano normativo che su quello giurisprudenziale. Lo spazio di influenza del diritto sovranazionale è, come noto, così ampio, da potersi ormai affermare che nessun settore rimanga immune dalla sua capacità penetrativa.

Così, solo per limitarsi alla cronaca recente, si può dire che la nuova riforma della messa prova (art. 3-8 l. 28 aprile 2014, n. 67) - quella che in fondo meno è condizionata dalle spinte europee - mostri legami evidenti con il dovere di favorire la mediazione tra imputato e persona offesa, prevista in due fonti diverse a livello U.E.: la ormai superata decisione quadro 2001/220/GAI, il cui art. 10 interveniva in materia, e la direttiva 2012/29/UE, che, all'art. 12, rielabora l'approccio dell'Unione alla materia della giustizia ripartiva e del ruolo che in essa la vittima deve poter giocare. Volendo, si può intravvedere nella introduzione di questa ennesima procedura alternativa al rito ordinario l'intento di apprestare uno strumento per far fronte alla questione carceraria, emersa in tutta la sua drammatica urgenza a seguito del noto caso Torreggiani.

Ancor più marcato, proseguendo con lo sguardo sulle recentissime modifiche al nostro codice di procedura penale, è il legame con il superamento della contumacia, e la sospensione del processo agli irreperibili, adottato negli ultimi mesi dal Parlamento italiano (artt. 9-15 l. n. 67 del 2014). Esso è senza dubbio finalizzato a recepire, seppur con qualche non irrilevante ambiguità, la giurisprudenza consolidata della Corte di Strasburgo in materia di processo in absentia, fatta successivamente propria dal diritto UE (si pensi alla decisione quadro 2009/299/GAI, e alla proposta di direttiva sulla presunzione di innocenza - COM(2013) 821 def. si è in questa maniera giunti, a quasi 150 anni dal primo codice unitario, a superare quel lascito del modello francese costituito dall'istituto della contumacia. Ma sarebbe limitato fermare lo sguardo solo sulle riforme legislative (cui comunque va aggiunto il d. lgs. 4 marzo 2014, n. 32, che recepisce la direttiva U.E. in materia di diritto dell'imputato alla interpretazione e traduzione nei processi penali[1]): è infatti l'intero diritto europeo a operare come un costante fattore di cambiamento per il sistema italiano. A tal punto che si può affermare come costituisca ormai un errore esiziale il relegare le riforme adottate a livello continentale al mero ambito del "diritto europeo":al contrario, infatti, esse vanno considerate componente viva e primaria dell'ordinamento interno. Per essere più chiari, oggi, su qualunque tema di procedura penale, peccherebbe di scientificità una analisi che non si soffermasse e si interrogasse sulle fonti europee, poiché, così facendo, non si offrirebbe al lettore un quadro completo dei fattori che condizionano e caratterizzano l'ordinamento italiano nella materia di riferimento: ed anzi, omettendo di analizzare il diritto sovranazionale, se ne trascurerebbe la parte più rilevante. Per richiamare l'ultimo caso di rilievo, il volto delle indagini preliminari così come delineato dal nostro codice appare destinato a mutare in modo consistente a causa della interazione con la nuova direttiva sull'ordine investigativo europeo (direttiva 2014/41/UE del 3 aprile 2014)[2].

Se dunque è incontrovertibile l'assurgere del diritto europeo a protagonista della stessa procedura penale nazionale, non si può tacere di come, ciononostante, in Italia si stenti ancora a prendere atto di questo nuovo corso. Ciò avviene, in parte, a livello accademico, dove gli studi sullo ius continentalis sono tendenzialmente appannaggio di una cerchia abbastanza ristretta di "specialisti"; in parte, a livello normativo, ove il legislatore, salvo rare eccezioni, dà la sensazione di inseguire la contingenza, cui cerca di adattarsi cambiando il meno possibile l'assetto complessivo delle cose (discorso diverso vale per la giurisprudenza, in cui soluzioni ermeneutiche improntate a candidi entusiasmi sono avvicendate da pronunce al cui fondo si coglie una certa venatura reazionaria). Ci troviamo così di fronte a un paradosso, tipico del nostro Paese. Da un lato, siamo stati noi i protagonisti, talora nostro malgrado, di alcune tra le più importanti decisioni giurisprudenziali adottate in ambito europeo: si pensi, solo per limitarsi alla più recente, al caso Dhahbi c. Italia (C. dir. uomo, 8 aprile 2014, Dhahbi c. Italia, n. 17120/09)  con il quale la Corte europea dei diritti dell'uomo pare indicare quale sarà l'assetto dei rapporti con la Corte di giustizia, una volta avvenuto l'accesso della U.E. alla conv. eur. dir. uomo (come previsto dall'ultimo paragrafo dell'art. 6 TUE). Dall'altro, l'Italia stenta a far sentire la propria voce, e a portare il proprio contributo, a livello continentale.

Eppure, a ben riflettere, il nostro Paese avrebbe le capacità e le risorse culturali per guidare il movimento europeo di costruzione di un ordinamento penale sovranazionale. Nella sua pur breve storia - come anche di recente autorevoli studi hanno indicato - si sono avute fasi evolutive, susseguitesi dall'Unità ad oggi, improntate a influssi culturali diversi: una prima orientata a recepire il modello napoleonico, dalla unificazione sino alla fine del secolo XIX; una seconda, aggiuntasi alla prima (mai del tutto superata), improntata alla introduzione sul piano domestico di teorie e soluzioni elaborate dalla dottrina tedesca; infine, una terza, avviata con la proposta Carnelutti e l'intervento di Franco Cordero al noto Convegno del 1963, tutta orientata a far proprio, con i dovuti accorgimenti, il modello processuale concepito e praticato in ambito angloamericano, recepito con la riforma del 1988-89. A pochi Paesi, se confrontati con il nostro, è capitato, in un settore come quello della procedura penale, nel quale più che altrove emerge la gelosia degli Stati per le proprie tradizioni culturali, di approfondire e sperimentare in concreto, sia pur parzialmente e in maniera del tutto peculiare, tre sistemi differenti. Per tacere del fatto che, tra le grandi scuole giuridiche europee, solo in Italia lo studio del diritto processuale penale costituisce oggetto di disciplina universitaria separata ed autonoma (mentre più facilmente esso è insegnato altrove nell'ambito del  diritto penale sostanziale o del diritto processuale generale). Questa capacità di riflettere su soluzioni proteiformi e in maniera flessibile, accompagnata da una specifica competenza specialistica sul terreno processuale penale, è dunque patrimonio della cultura giuridica italiana: al tempo stesso, flessibilità e competenza costituiscono elementi indispensabili per la edificazione del sistema europeo, costretto costantemente a tener conto delle differenti particolarità legate alle radici di ogni ordinamento nazionale e bisognoso di analisi frutto di un'alta preparazione tecnica.

E' probabile che una delle cause di questa nostra difficoltà ad affrontare ex professo, con ampio respiro e autorevolezza, i temi europei sia dovuta al modo in cui il loro studio è stato sinora condotto nel nostro Paese: attraverso analisi specialistiche, di magari efficace approfondimento, ma di limitata capacità rappresentativa dell'intero nuovo orizzonte. Per essere concreti, è mancato finora un manuale di studio che fosse in grado di indicare, alla vasta platea di tutti i giuristi penali, il metodo richiesto per non soccombere di fronte alla modernità.

E' a questa ormai non rinviabile esigenza che il Manuale di procedura penale europea curato da Roberto E. Kostoris, appena uscito per i tipi della Giuffrè, ambisce a porre rimedio. L'opera, prima in Italia di questo genere, si segnala dunque per due motivi: da un lato, perché cerca di colmare una lacuna culturale e scientifica; dall'altro, perché aspira ad istituire un metodo italiano alla analisi e allo studio del diritto processuale penale europeo. Si tratta di due obiettivi che appaiono entrambi raggiunti. Da un lato, gli autori coinvolti provengono da una lunga esperienza nel settore, avendo dedicato, sin da prima che il diritto europeo si ponesse al centro della scena, ricerche tra le più importanti a livello nazionale e continentale. Dall'altro, evidente appare lo sforzo nel manuale di conciliare il metodo ermeneutico e sistematico tradizionale della scuola italiana con un approccio alla materia di carattere puramente sovranazionale. Così, a contributi di marca più propriamente europea, si alternano capitoli di carattere maggiormente esegetico (in specie quelli ove la fonte di matrice continentale è stata recepita a livello interno, dando poi vita a una giurisprudenza articolata sul piano domestico). Di particolare interesse, inoltre, appare la parte dedicata alle fonti, ove i due metodi - quello dell'esame sul piano esclusivamente sovranazionale e quello più tradizionale della nostra scuola - sono come fusi insieme, cercandosi così di aprire, fin dal principio dell'opera, la via italiana al diritto processuale penale europeo.

Naturalmente, un lavoro di questa portata rischia sempre di prestare il fianco a critiche di non perfetto aggiornamento. Il profluvio di atti normativi e di decisioni giurisprudenziali incessantemente prodotti a livello sovranazionale è tale da comportare un alto, altissimo rischio di obsolescenza per un'opera generalista e omnicomprensiva quale un manuale di studio. Tuttavia, a ben vedere, la provvisorietà di ogni lavoro manualistico caratterizza l'intera epoca giuridica attuale. A fronte di ciò, rinunciare a elaborare testi di studio con un approccio d'insieme equivarrebbe ad una abdicazione, capace di accelerare la crisi in cui versa il diritto europeo della nostra epoca: quando invece i tentativi di razionalizzare e sistematizzare un settore - a maggior ragione se complesso e ancora "vergine" - costituiscono sicuramente baluardi contro un decadimento incontrollato. Sotto questo profilo, vale la pena ricordare come l'elaborazione di un nuovo metodo giuridico condiviso a livello continentale rivesta un ruolo centrale per la stessa sopravvivenza, nell'ambito della competizione globale, del diritto europeo rispetto alle altre tradizioni giuridiche del mondo. Ma a ben vedere, vi è un motivo più profondo per rigettare l'ipotetica critica cui si è in precedenza fatto cenno. Proprio questa tendenza al continuo mutamento, infatti, che caratterizza il diritto contemporaneo, e che è particolarmente tangibile nel settore processuale penale europeo, induce a ripensare il modo in cui esaminare e spiegare la materia. Il valore di un'opera manualistica, di conseguenza - alla luce della continua mutevolezza del quadro normativo - consiste nella capacità di fornire a chi legge il metodo con il quale orientarsi in un territorio sconosciuto. Sotto questo profilo, e fermo restando che gli aggiornamenti saranno inevitabili, la vera attualità di un manuale si deve alla capacità di insegnare a comprendere e a fare proprio un sistema nuovo, dando al discente le coordinate per risolvere, grazie alle appropriate chiavi di lettura, le sfide inaspettate  a cui si troverà di fronte un domani. Ciò è tanto più vero per un diritto fluido ed eminentemente casistico, quale resta, al fondo, quello di matrice europea. Il manuale curato da Roberto Kostoris sembra rispondere a questa esigenza, indicando la strada da percorrere. Si può solo sperare che la sua diffusione possa favorire l'affermarsi di una via italiana allo studio del diritto processuale penale europeo: un contributo la cui necessità pare divenire, con il passare del tempo, sempre più importante, per il nostro Continente.

 


[1] Se ne veda il commento di M. Gialuz, Il decreto legislativo di attuazione della direttiva sull'assistenza linguistica (n. 32 del 2014): un'occasione sprecata per modernizzare l'ordinamento italiano, in questa Rivista, 10 aprile 2014.

[2] Se ne veda un primo commento di L. Camaldo, La Direttiva sull'ordine europeo di indagine penale (OEI): un congegno di acquisizione della prova dotato di molteplici potenzialità, ma di non facile attuazione, in questa Rivista, 27 maggio 2014