11 ottobre 2012 |
La Convenzione di Istanbul del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica
Scheda di sintesi
All'indomani della sottoscrizione italiana del trattato (27.9.2012), forniamo qui una breve sintesi della Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e il contrasto alla violenza contro le donne e della violenza domestica [Council of Europe Convention on preventing and combating violence against women and domestic violence, 11 maggio 2011, CM(2011) 49 final, CETS no. 210], aperta alla firma ad Istanbul l'11 maggio 2011.
Lo strumento regionale, non ancora in vigore (in assenza del numero minimo di ratifiche stabilito dalla Convenzione), rappresenta il livello più avanzato dello standard internazionale di prevenzione e contrasto del complesso fenomeno della violenza di genere, di protezione delle vittime e di criminalizzazione dei responsabili.
Concepito nel quadro d'azione del Consiglio d'Europa in materia di violenza contro le donne e violenza domestica (rispetto al quale si segnala specialmente il lavoro della Task Force to Combat Violence against Women including Domestic Violence, nonchè i ripetuti interventi del Comitato dei Ministri e dell'Assemblea generale) il testo è aperto alla firma di Stati non membri che hanno preso parte alla sua redazione e godono dello status di osservatore presso l'Organizzazione (come gli Stati Uniti e il Canada, il Giappone, il Messico e la Santa Sede), e dell'Unione europea, come pure all'adesione di Stati terzi.
Esso definisce preliminarmente le diverse tipologie di violenza, precisando i corrispondenti obblighi statali di carattere generale, con una particolare attenzione agli obblighi di criminalizzazione di talune condotte lesive negli ordinamenti interni (gender-based crimes).
In termini generali, la violenza contro le donne è definita già nel preambolo del trattato come species di una più ampia fattispecie, quella della "violenza di genere" (gender-based violence), suscettibile di colpire anche gli uomini e inclusiva di condotte di carattere sistematico, spesso suscitate da condizionamenti di ordine storico, sociale o culturale che producono gravi discriminazioni ai danni delle vittime, ostacolandone il pieno sviluppo della personalità e delle capacità umane (disempowerment).
Segue, nell'articolato, la definizione specifica di "violenza contro le donne" da intendersi (art. 3), come "una violazione dei diritti umani e una forma di discriminazione contro le donne, comprendente tutti gli atti di violenza fondati sul genere che provocano o sono suscettibili di provocare danni o sofferenze di natura fisica, sessuale, psicologica o economica, comprese le minacce di compiere tali atti, la coercizione o la privazione arbitraria della libertà, sia nella sfera pubblica che nella sfera privata".
A tale formula comprensiva si riferisce poi l'autonoma categoria normativa della "violenza domestica", inclusiva di ogni genere di condotte di violenza fisica, sessuale, psicologica o economica che si verificano all'interno della famiglia o di un'unità domestica ovvero tra coniugi o ex coniugi o partner, indipendentemente dal fatto che l'autore della violenza condivida o abbia condiviso la stessa residenza con la vittima.
L'ulteriore riferimento testuale alla "violenza contro le donne basata sul genere" intende enfatizzare, nel riferimento a ruoli, atteggiamenti, attributi del "genere" (culturalmente e socialmente costruiti e orientati), il carattere discriminatorio di ogni violenza che sia "diretta contro una donna in quanto tale" (perché è una donna) o che colpisca le donne in misura spropor-zionata.
Così formulate le nozioni di "violenza" disciplinate dal trattato, la relativa sfera materiale di applicazione include dunque tutte quelle forme di violenza contro le donne (anche di minore età) e di violenza domestica che le coinvolgono in misura prevalente o tipicamente discriminatoria, sia in tempo di pace che in situazioni di conflitto armato (art. 2). Le categorie di riferimento proposte dal testo sono meramente descrittive-esemplificative, pur rappresentando la casistica statisticamente più significativa del fenomeno, come nei casi di violenze intra-familiari, parentali (ove rileva la pro-tezione indiretta delle vittime minori nella sfera privata), violenze o abusi tra cc.dd. intimate-partner, violenze su soggetti anziani o disabili, stalking o condotte criminose perpetrate nei confronti di donne ritenute responsabili della violazione di norme familiari o comunitarie o ancora vittime designate di pratiche tradizionali discriminatorie e gravemente lesive di diritti individuali. È interessante notare come la vasta gamma di ipotesi ricavabile dalle ampie formule convenzionali sia essenzialmente riconducibile ad una condotta criminosa tipica, quella della violenza fisica, sessuale o psicologica, ricorrente nelle violazioni realizzate nella sfera privata come nello spazio pubblico, e particolarmente nelle violenze che colpiscono esclusivamente le donne.
Il contenuto fondamentale e la natura degli obblighi internazionali degli Stati contraenti sono precisati all'articolo 5 della Convenzione (States obligations and due diligence): all'obbligo generale di astensione da condotte integrative di violenza contro le donne direttamente o indirettamente imputabili agli organi statali, si accompagna la prescrizione di uno standard di due diligence nel prevenire, indagare, punire i responsabili e riconoscere alle vittime adeguate misure di riparazione per i casi di violenza imputabili a soggetti privati.
In linea con la formula tipica dei trattati europei sul contrasto di speciali forme di violenza e abuso (come la Convenzione del Consiglio d'Europa contro la tratta di esseri umani e la Convenzione sulla protezione dei minori da abusi e sfruttamento sessuale), il riferimento è ai tre momenti costitutivi dell'architettura garantistica convenzionale (alle tre "P", Prevention, Protection and Prose-cution) e dunque alla prevenzione (Capitolo III), alla protezione e sostegno delle vittime (Capitolo IV) e alla punizione degli autori delle violazioni (Capitolo VI), corredati e rafforzati da una serie di altri impegni, di carattere politico e sociale (Capitolo II), intesi alla realizzazione di strategie integrate per il contrasto e l'eliminazione della violenza contro le donne e della violenza domestica.
Sul piano sostanziale, come dicevamo, l'approccio privilegiato nella stesura del documento (gender-sensitive approach) non trascura peraltro un'adeguata considerazione di fattispecie gravi e sistematiche di violenza subite tipicamente (matrimoni forzati) o esclusivamente (pratiche lesive tradizionali, mutilazioni genitali; gravidanze forzate, schiavitù sessuale nel corso di conflitti armati) dalle donne (Capitolo V). Quest'ultimo versante di disciplina appare poi particolarmente urgente nei casi di violenze o abusi la cui dimensione internazionale (è ancora il caso dei forced marriages o dei rimpatri forzati di donne migranti nei paesi d'origine per essere sottoposte a mutilazioni genitali) impone un intervento preventivo-repressivo sul piano proprio della cooperazione internazionale, nelle forme, per esempio, della cooperazione transfrontaliera o della protezione consolare (Capitolo (Capitoli VII e VIII).
Il testo include al Capitolo V ("Diritto sostanziale") specifiche clausole convenzionali di interesse penalistico volte a sancire obblighi di penalizzazione di condotte costitutive di fattispecie di violenza, ovvero lesive di diritti fondamentali e discriminatorie nel senso precisato dalla Convenzione. Così è per le ipotesi di violenza psicologica (art. 33), atti persecutori (Stalking, art. 34), violenza fisica (art. 35), violenza sessuale, compreso lo stupro (art. 36), matrimonio forzato (art. 37), mutilazioni genitali femminili (art. 38), aborto forzato e sterilizzazione forzata (art. 39), molestie sessuali (art. 40, la cui formula normativa prevede l'obbligo statale di adottare "misure legislative o di altro tipo" volte a garantire che le condotte tipiche della fattispecie in parola siano sottoposte "...a sanzioni penali o ad altre sanzioni giuridiche"). Con l'esclusione di tale ultima disposizione, gli Stati Parti dovranno inoltre adottare le misure necessarie per perseguire penalmente il favoreggiamento o la complicità intenzionali in ordine alla commissione dei reati contemplati dalla Convenzione stessa, nonché i tentativi intenzionali di commissione dei reati di cui agli articoli 35, 35, 37, 38.a e 39 (art. 41).
Ancora, precisato che i reati previsti dallo strumento convenzionale si applicano a prescindere dalla natura del rapporto tra la vittima e l'autore del reato, un regime tipico delle relative sanzioni e misure repressive è delineato attraverso formule normative di portata generale e la possibile previsione di circostanze aggravanti, conformemente alle disposizioni pertinenti del diritto nazionale (art. 46).
Sul piano procedimentale, le previsioni relative alla determinazione della jurisdiction per le fattispecie di reato contemplate dal trattato, intese ad evitare possibili limitazioni dell'esercizio della giurisdizione penale (art. 44), si accompagnano ad interventi volti ad agevolare il tempestivo avvio e l'efficacia del processo penale, nonché adeguate misure di protezione dello stato e degli interessi delle vittime, nel rispetto degli strumenti internazionali e regionali di cooperazione giudiziaria in materia (civile e) penale (Capitoli VI-VIII).
Il regime specifico delle riserve al trattato sancisce un divieto generale di dichiarazioni che escludono l'applicazione o consentono un'applicazione limitata delle disposizioni convenzionali, fatta eccezione per le clausole richiamate ai §§ 2 e 3 dell'articolo 78. Gli Stati o l'Unione europea possono in particolare, al momento della firma o del deposito dello strumento di ratifica, accettazione, approvazione o adesione, espressamente dichiarare di riservarsi il diritto di optare per sanzioni non penali nel caso di comportamenti riconducibili a violenza psicologica (art. 33) e stalking (art. 34).
In generale, come già emerso in sede di lavori preparatori, la disciplina convenzionale degli obblighi statali di criminalizzazione delle condotte lesive, e quella specifica delle riserve al trattato, lascia alle autorità nazionali ampio margine nella determinazione del tipo di sanzioni (amministrative, civili o penali) utili ad un efficace contrasto del fenomeno in ambito regionale (un esempio può ricavarsi, tra l'altro, dalla formula dell'art. 36, § 3, ove l'obbligo di criminalizzazione dei casi di marital rape sembra escludere i casi di relazioni di fatto non riconosciute dal diritto interno).
Per sistematicità e standards garantistici, la Convenzione di Istanbul si inquadra in definitiva nell'interessante filone di sviluppi normativi e della prassi internazionale variamente maturato tanto nei sistemi regionali di protezione dei diritti umani (cfr., oltre lo scenario regionale europeo, la Convenzione interamericana di Belém do Pará del 1994 sulla prevenzione, la punizione e l'eliminazione della violenza contro le donne, e il Protocollo di Maputo alla Carta africana dei diritti dell'uomo e dei popoli sui diritti delle donne in Africa, del 2003), quanto, e prima ancora, nel contesto proprio dell'organizzazione delle Nazioni Unite (cfr. in particolare, al livello universale, Comitato CEDAW, General Recommendation no. 19 of the United Nations Committee on the Elimination of All Forms of Discrimination against Women, del 1992; nonchè la Dichiarazione dell'Assemblea Generale Onu sull'eliminazione della violenza contro le donne, United Nations General Assembly Resolution 48/104 del 1993). La stessa Convenzione istituisce un meccanismo internazionale di monitoraggio (the Group of experts on actions against violence against women and domestic violence, "GREVIO", Capitolo IX) della relativa attuazione in sede domestica (attraverso questionari, visite, inchieste e rapporti sullo stato di conformità degli ordinamenti interni agli standard convenzionali, General Recommendations). L'enforcement e l'interpretazione delle norme convenzionali nel contesto europeo si avvarrà utilmente dei criteri e principi già elaborati dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo in tema di violenza e discriminazioni di genere nella sfera pubblica come in quella privata, stimolandone l'apertura verso ulteriori sviluppi garantistici.
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