ISSN 2039-1676


10 luglio 2012 |

Assoluzione dal reato di inottemperanza all'ordine di allontanamento (art. 14 co. 5 ter t.u. imm.) per mancata traduzione del provvedimento amministrativo-presupposto

Nota a Giudice di Pace di Bologna, sent. 3 aprile 2012 (dep. 18 aprile 2012), n. 403, giudice Piazza

1. La sentenza del Giudice penale che disapplica l'ordine di allontanamento illegittimo

Un cittadino moldavo veniva accompagnato presso gli uffici dell'autorità di P.S. perché sprovvisto di documenti; ivi veniva accertata l'esistenza di un precedente decreto di espulsione prefettizia, con contestuale ordine di allontanamento emesso dal questore. Gli operanti, pertanto, contestavano allo straniero il reato di cui all'art. 14 co. 5 ter T.U. imm., per la cui ipotesi base è prevista - a seguito delle modifiche introdotte dal d.l. 89/2011, conv. in l. 129/2011 - la pena della multa da 10.000 a 20.000 euro.

Con la sentenza che si annota, il Giudice di Pace di Bologna ha ritenuto illegittimo l'ordine di allontanamento del questore, e coerentemente, constatato il venire meno di un presupposto della fattispecie di reato, ha assolto l'imputato "perché il fatto non sussiste".

La pronuncia evidenzia che entrambi i provvedimenti amministrativi - decreto di espulsione e ordine di allontanamento - erano stati tradotti in lingua inglese per l'attestata "impossibilità" di reperire un interprete di lingua moldava.

Tanto premesso, il giudicante richiama le statuizioni della Corte di Cassazione (Cass. civ., 8 marzo 2012, n. 3678), in base alle quali il provvedimento di allontanamento dello straniero proveniente da un Paese il cui flusso migratorio verso l'Italia risulti diffuso, deve essere tradotto nella lingua conosciuta dall'espellendo e non in quelle c.d. veicolari (inglese, francese o spagnolo): sicché, osserva il GdP, le amministrazioni competenti dovrebbero dotarsi di formulari già tradotti nelle lingue più diffuse, come per esempio il cinese, l'arabo o, come nel caso di specie, il moldavo.

Infatti, secondo il Giudice di Pace, "la lingua moldava non può ritenersi (una) lingua rara propria di una minoranza etnica, essendo il flusso dei moldavi ben presente nel nostro territorio nazionale". Inoltre, "il contenuto e il motivo del decreto di espulsione e del conseguente ordine di allontanamento era ben tipizzato, ed era perfettamente traducibile mediante formulario a stampa, non occorrendo pertanto la presenza di un interprete ad hoc al fine di predisporre la personalizzazione della traduzione".

 

2. Il principio di diritto formulato dalla Cassazione civile e invocato dal Giudice penale nell'accertamento della illegittimità del presupposto del reato

La citata sentenza della Cassazione civile - che come visto è alla base della pronuncia assolutoria emessa dal Gdp bolognese - interviene sulla questione dell'obbligo di traduzione dei provvedimenti di espulsione, dichiarando espressamente il proprio intento di rimeditare il precedente orientamento della giurisprudenza di legittimità, secondo il quale il ricorso alla lingua c.d. veicolare nei provvedimenti di espulsione trarrebbe la propria legittimità dalla mera attestazione, resa dalla stessa autorità amministrativa e insindacabile dal giudice, circa l'impossibilità di reperire un interprete della lingua dell'espellendo (in tal senso, ex multis, Cass. civ. n.5465 del 2002).

La Corte ricorda, anzitutto, che il legislatore ha disciplinato all'art. 13, co. 7 T.U. imm. la materia della traduzione degli atti concernenti l'ingresso, il soggiorno e l'espulsione, prescrivendo alle prefetture e alle questure l'obbligo di tradurre i provvedimenti in una lingua conosciuta allo straniero oppure, ove ciò non sia possibile, in una delle lingue veicolari (francese, inglese o spagnolo). Secondo l'art. 3 del regolamento attuativo al T.U. imm. (D.P.R. n. 394/99), sussiste l'impossibilità di traduzione allorché via sia l'indisponibilità di personale idoneo alla traduzione nella lingua dell'espellendo.

Applicando alla lettera le disposizioni in parola - osservano i giudici di legittimità - l'amministrazione ha potuto per molti anni evitare la traduzione dei documenti in lingue diverse da quelle veicolari, limitandosi a dichiarare l'impossibilità di reperire un traduttore.  Si tratta - prosegue la sentenza - di un esito elusivo dell'obbligo di traduzione sancito dal T.U. imm., esito in passato avallato dal già citato orientamento giurisprudenziale che considerava  insindacabile l'attestazione di indisponibilità dell'interprete resa dall'amministrazione.

Ad avviso dei giudici di legittimità, invece, il concetto di "impossibilità" di ottenere la traduzione deve essere interpretato secondo ragionevolezza, tenendo conto, in particolare, della moltiplicazione esponenziale delle espulsioni, della formazione di flussi stabili di immigrati per nazionalità od etnie, della diffusa informatizzazione delle comunicazioni dell'Amministrazione, nonché, soprattutto, dell'invariabilità delle ipotesi espulsive.

Infatti, se si considera che i provvedimenti di espulsione sono normalmente testi standard e non individualizzati, non è plausibile che le prefetture e le questure non dispongano delle apposite e varie traduzioni nelle lingue diffuse, attesa la decennale esperienza maturata dalla stessa Pubblica Amministrazione sul campo delle nazionalità che compongono il fenomeno migratorio italiano.

Viceversa, l'irreperibilità del traduttore darebbe vita ad una ipotesi di reale "impossibilità", come tale idonea ad esimere l'amministrazione dall'obbligo di cui all'art. 13 co. 7 T.U. imm., «sia per l'ipotesi di lingue rare proprie di minoranze etniche ed anche in relazione all'insuperabile onere economico di procedere ad una schedatura "mondiale" degli idiomi; sia, e di converso, le volte in cui la legittima scelta di una contestazione espulsiva integrata dalla complessa descrizione della fattispecie renda inutilizzabile la opportunità delle schede informative plurilingue dinanzi richiamate».

In conclusione, la Corte ha formulato il seguente principio di diritto: «si ritiene "impossibile" la traduzione del decreto espulsivo nella lingua conosciuta dall'espellendo, e si può procedere all'uso della lingua veicolare, le volte in cui sia dall'Amministrazione affermata e dal giudice ritenuta plausibile la indisponibilità di un testo predisposto nella stessa lingua o la inidoneità di tal testo alla comunicazione della decisione in concreto assunta e venga quindi attestato che non sia reperibile nell'immediato un traduttore».

 

3. Brevi considerazioni critiche alla luce dei principi dettati dalla Direttiva rimpatri (2008/115/CE)

La sentenza della Cassazione costituisce senza dubbio una tappa significativa sotto il profilo della tutela del diritto di difesa e di informazione degli stranieri, e presenta importanti risvolti anche nel processo penale, laddove conferisce al giudice un più ampio margine di sindacabilità dei provvedimenti amministrativi di espulsione, e dunque di disapplicazione degli stessi allorchè costituiscano presupposti di figure di reato (come nel caso esaminato dal GdP di Bologna, relativo al delitto di cui all'art. 14, co. 5 ter T.U. imm.).

Ciò nonostante, alcune affermazioni dei giudici di legittimità paiono collidere coi principi sanciti dalla Direttiva rimpatri (2008/115/CE).

La direttiva comunitaria impone infatti agli organi competenti di emanare espulsioni personalizzate e calate nel caso concreto, senza considerare unicamente il fatto del soggiorno irregolare e tenendo conto anche dei diritti fondamentali dell'espellendo (considerando n. 6).

Ebbene, ponendo alla base della propria decisione il concetto di "invariabilità delle ipotesi espulsive" - concetto che, come visto, ha consentito ai giudici di legittimità di censurare la mancata adozione di moduli tradotti nelle lingue delle etnie straniere più diffuse - la Corte sembra implicitamente avallare una prassi di espulsioni standardizzate incompatibili con la valutazione in concreto imposta dalla direttiva rimpatri.

L'illegittimità di tale prassi emerge in maniera ancora più evidente a seguito del recepimento della direttiva rimpatri nell'ordinamento interno: il legislatore, infatti, ha modificato il Testo Unico indicando che il prefetto dispone, "caso per caso", il provvedimento di espulsione (art. 13, c.2 T.U. Imm.). Si tratta di un modello di provvedimento espulsivo volto a bilanciare due opposte esigenze, ossia l'efficienza del rimpatrio e il rispetto dei diritti fondamentali dell'espellendo (c. 6 Dir): esigenze che non possono più essere ignorate o eluse dalle amministrazioni competenti e dalla giurisprudenza chiamate a valutare la legittimità dei relativi provvedimenti.

 

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Clicca qui per scaricare la sentenza della Cassazione (n. 3678 del 2012) richiamata dalla pronuncia del GdP