15 dicembre 2011 |
Sulla rilevanza dei redditi non dichiarati al fisco ai fini del sequestro e della confisca di cui all'art. 12-sexies del d.l. n. 306/92, conv. dalla l. n. 356/92
Nota a Cass. pen., Sez. VI, 31 maggio 2011 (dep. 26 luglio 2011), n. 29926 Pres. Mannino, Rel. Conti, ric. TG e altri
1 - Il principio "innovativo" affermato dalla Corte. La complessa materia delle misure patrimoniali (penali e di prevenzione).
La sentenza in commento sembra che "ribalti" il principio secondo cui non è consentito allegare la legittima provenienza dei beni sottoposti a sequestro (e confisca) ai sensi dell'art. 12-sexies d.l. 306/92, conv. in l. 356/92, attraverso redditi derivanti da evasione fiscale.
L'importanza, anche pratica, del tema impone la ricognizione dei principi enucleati dalla giurisprudenza in materia di sequestro e confisca ex art. 12-sexies l. 356/92 e della loro applicazione da parte della Corte.
Giova premettere che la materia delle misure cautelari reali è estremamente complessa anche a seguito di una caotica e disorganica produzione normativa che ha costretto la giurisprudenza a confrontarsi con temi nuovi su cui non si sono ancora formati orientamenti consolidati; una materia in cui si intersecano istituti di diversa natura e con diverse funzioni, che coinvolge anche le misure di prevenzione patrimoniali (sequestro e confisca), assimilate frequentemente al sequestro e alla confisca ex art. 12-sexies l. 356/92. Troppo spesso si ignora la diversità strutturale e dogmatica della misura di prevenzione patrimoniale - fondata sulla esistenza dei presupposti della misura personale, consistenti nella verifica indiziaria o probabilistica di alcuni presupposti - rispetto alla misura patrimoniale penale - fondata sull'accertamento della penale responsabilità -. Da una eccesiva assimilazione dei due istituti derivano alcuni ragionamenti in cui si evocano principi di un istituto per desumere determinate conseguenze sull'istituto di diversa natura, ignorando le caratteristiche proprie delle misure reali penali e di prevenzione (e le relative conseguenze)[1].
2 - La fattispecie esaminata dalla Corte: le decisioni adottate.
2.1 - Il caso esaminato: il decreto del Gip, l'ordinanza del tribunale del riesame, i motivi del ricorso in Cassazione.
E' opportuno ricostruire, sulla base della stessa sentenza, il caso esaminato e le decisioni adottate. Sembra, infatti, che le conclusioni della sentenza in commento siano influenzate dai motivi prospettati nel ricorso che, a loro volta, sono svolti sulla base delle motivazioni contenute nell'ordinanza del Tribunale del riesame.
Il Giudice per le indagini preliminari emetteva decreto di sequestro preventivo, ai sensi dell'art. 12-sexies cit., nei confronti di TG, indagato per il reato di corruzione, disponendo il sequestro:
- di un immobile di proprietà dell'indagato;
- della somma di euro 82.920,00 depositata sul conto corrente n. XXX intestato a GT (perciò terzo intestatario), padre dell'indagato TG;
- di alcuni beni immobili di proprietà di GV e (sembra) della Immobiliare XY, di cui è legale rappresentante la stessa GV (terza intestataria in proprio e nella qualità).
Il Tribunale del Riesame confermava quasi integralmente il sequestro (disponendo la restituzione alla GV solo di un immobile). Rigettando (parzialmente) l'impugnativa della terza intestataria il Tribunale affermava di non potere tenere conto di alcuni importi cespiti - indicati per giustificare l'acquisto degli immobili - perché derivanti da evasione fiscale («deve escludersi che la prospettata evasione fiscale possa essere utilizzata dall'evasore, a proprio vantaggio, per legittimare acquisizione di beni non proporzionati ai redditi dichiarati o all'attività economica svolta).
Veniva proposto ricorso per cassazione:
a) dall'indagato TG con riferimento:
- all'immobile a lui intestato, avendo allegato elementi per dimostrare un reddito compatibile con l'acquisto del bene;
- al denaro sequestrato, perché riferibile al padre GT (che, però, non ricorreva per cassazione)
b) dalla terza intestataria (o terza interessata, come indicato in sentenza) GV, in proprio e quale legale rappresentante della Immobiliare XY. Sosteneva il difensore che l'art. 12-sexies citato «pone il criterio della sproporzione rispetto al reddito dichiarato o all'attività economica svolta, laddove la GV aveva accumulato le somme utilizzate per l'acquisto degli immobili dall'attività riconducibile alla ZZZ, per la quale in sede di accertamento fiscale erano stati rilevati ricavi non dichiarati per l'anno 2004 pari a Euro 32.213,00, ed analoghi ricavi non dichiarati erano stati rilevati negli anni successivi.»
Non risulta che il terzo intestatario GT (padre dell'indagato) abbia proposto ricorso per cassazione (o riesame).
2.2 - La decisione della Corte.
Il ricorso dell'indagato viene dichiarato inammissibile dalla Corte:
- con riferimento al sequestro dell'immobile intestato allo stesso indagato, avendo il Tribunale del riesame adeguatamente valutato le allegazioni in ordine alle risorse economiche prospettate rispetto al valore dell'immobile;
- con riferimento alla somma di denaro presente sul conto corrente del padre (terzo intestatario), per carenza d'interesse dell'indagato. Costui, infatti, aveva prospettato la reale disponibilità della somma in capo al terzo che, però, non aveva impugnato il provvedimento. La decisione appare ineccepibile perché l'indagato, ritenuto nella disponibilità indiretta del bene, è legittimato a fare valere esclusivamente la propria reale titolarità sul bene.
Il ricorso della terza intestataria GV, in proprio e quale legale rappresentante della società, viene accolto dalla Corte, limitatamente alla parte in cui critica l'ordinanza impugnata per non avere tenuto conto dei proventi rivenienti dalla sua lecita attività economica, sia pure non denunciati a fini delle imposte sul reddito.
Il ragionamento della Corte può essere così schematizzato:
- l'art. 12-sexies l. 356/92 consente il sequestro e la confisca dei beni di cui l'indagato o il condannato non «può giustificare la provenienza e di cui ... risulta essere titolare o avere la disponibilità a qualsiasi titolo in valore sproporzionato al proprio reddito, dichiarato ai fini delle imposte sul reddito, o alla propria attività economica»;
- per evitare il provvedimento ablativo l'indagato o il condannato devono giustificare la provenienza delle risorse economiche utilizzate per acquisire il bene dimostrando anche che il valore di queste non sia sproporzionato rispetto, alternativamente, al reddito dichiarato a fini fiscali o all'attività economica esercitata;
- ove le fonti di produzione del patrimonio siano identificabili, siano lecite, e ne giustifichino la titolarità in termini non sproporzionati ad esse, è irrilevante che tali fonti siano identificabili nei redditi dichiarati a fini fiscali piuttosto che nel valore delle attività economiche che tali entità patrimoniali producano, pur in assenza o incompletezza di una dichiarazione dei redditi.
Esaminati i presupposti del sequestro e della confisca per l'indagato o il condannato, la Corte accoglie il ricorso della terza intestataria GV, non avendo il Tribunale del riesame valutato la circostanza relativa alla lecita attività economica (di commercio di frutta e verdura) generatrice di reddito addotta a giustificazione della disponibilità finanziaria idonea ad acquistare gli immobili, pur se tali redditi non erano stati fiscalmente dichiarati (ricavi, oggetto anche di accertamento fiscale, per euro 32.213 relativamente al solo anno 2004).
3 - La disponibilità indiretta dell'indagato o del condannato, l'onere del terzo intestatario. L'applicazione dei principi al caso esaminato dalla Corte.
3.1 - I principi applicabili.
Il primo presupposto (oggettivo) di applicabilità della misura cautelare consiste nella disponibilità diretta o indiretta del bene in capo all'indagato (o del condannato).
Ai sensi dell'art. 12-sexies d.l. 306/92, conv. in l. 356.92, in caso di condanna o di applicazione della pena ex art. 444 c.p.p. per determinati delitti «è sempre disposta la confisca del denaro, dei beni o delle altre utilità di cui il condannato non può giustificare la provenienza e di cui, anche per interposta persona fisica o giuridica, risulta essere titolare o avere la disponibilità a qualsiasi titolo in valore sproporzionato al proprio reddito, dichiarato ai fini delle imposte sul reddito, o alla propria attività economica».
Nel caso di misura cautelare (sequestro adottato ex art. 321 c.p.p.) occorrono i medesimi requisiti previsti dalla norma, sostituta alla condanna il fumus del reato contestato[2].
Se appare semplice individuare la disponibilità diretta del bene (coincidente con la titolarità formale), maggiori problemi sorgono per accertare la disponibilità indiretta.
La giurisprudenza ha enucleato alcuni principi (sostanzialmente coincidenti con quelli posti in tema di sequestro di prevenzione previsti dall'art. 2-ter della L. 575/65, oggi artt. 20 e 24 D. L.vo 159/11):
a) la disponibilità rilevante si individua in una relazione effettuale del condannato con il bene, connotata dall'esercizio di poteri di fatto corrispondenti al diritto di proprietà; la disponibilità coincide, pertanto, con la signoria di fatto sulla "res" indipendentemente dalle categorie delineate dal diritto privato, riguardo al quale il richiamo più appropriato sembra essere quello riferito al possesso nella definizione che ne dà l'art. 1140 cod. civ.[3];
b) si richiede una vera e propria prova circa l'esistenza di situazioni che avallino concretamente l'ipotesi di una discrasia tra intestazione formale e disponibilità effettiva del bene, sì che possa affermarsi con certezza che il terzo intestatario si sia prestato alla titolarità apparente al solo fine di favorire la permanenza dell'acquisizione del bene in capo al condannato e di salvaguardarlo dal pericolo della confisca. Occorre, pertanto, spiegare le ragioni della ritenuta interposizione fittizia, adducendo non solo circostanze sintomatiche di spessore indiziario, ma elementi fattuali che si connotino della gravità, precisione e concordanza, sì da costituire prova indiretta dell'assunto che si tende a dimostrare, cioè del superamento della coincidenza fra titolarità apparente e disponibilità effettiva del bene;
c) incombe sull'accusa l'onere di dimostrare, ai fini dell'operatività nei confronti del terzo del sequestro e della successiva confisca, l'esistenza di situazioni che avallino concretamente l'ipotesi di una discrasia tra intestazione formale e disponibilità effettiva del bene, sì che possa affermarsi con certezza che il terzo intestatario si sia prestato alla titolarità apparente al solo fine di favorire la permanenza dell'acquisizione del bene in capo al condannato e di salvaguardarlo dal pericolo della confisca[4]. Il terzo ha solo l'onere di allegare elementi (seri e concreti) finalizzati a neutralizzare gli elementi offerti dall'accusa.
3.2 - L'applicazione dei principi al caso esaminato dalla Corte.
In applicazione dei principi richiamati per adottare (e confermare) nel caso in esame il sequestro dei beni nella formale titolarità (proprietà del terzo intestatario) occorreva fornire adeguata prova della disponibilità indiretta degli stessi in capo all'indagato. Tale prova è stata ritenuta raggiunta dal Gip inaudita altera parte e, successivamente, dal Tribunale del riesame pur in presenza delle allegazioni del terzo sulla dedotta capacità economica di acquistare i beni derivante da un'attività economica (lecita) produttiva di redditi non dichiarati al fisco.
Dovendo essere accertato il requisito della disponibilità, vale a dire la riferibilità del bene (all'indagato ovvero al terzo intestatario), non può assumere rilievo l'origine (lecita o illecita) del denaro utilizzato per l'acquisto del bene, essendo onere del terzo allegare elementi sulla effettiva titolarità; allegazione che può essere assolta, in primo luogo, deducendo la capacità economica di acquistare il bene.
L'allegazione deve essere seria - circa la capacità economica affermata - e idonea - tale da evidenziare una disponibilità riferibile all'acquisto di quel determinato bene -, ma non può assumere rilievo l'origine (lecita o illecita) del reddito dedotto. Tale conclusione discende:
- dal tenore letterale dell'art. 12-sexies, che richiede la giustificazione e dunque l'origine non illecita della provenienza (o la sola sproporzione secondo alcuni) da parte dell'indagato e del condannato ma non da parte del terzo;
- dalla ratio dell'art. 12-sexies che, in questa parte, mira a individuare esclusivamente la titolarità (formale e sostanziale) del bene, rimettendo a un requisito ulteriore la verifica dei presupposti per procedere a sequestro o confisca (sproporzione con redditi dichiarati o attività economica). Quali che siano l'origine del bene, o la ragione o la modalità con cui sia pervenuto al soggetto, ciò che conta in questa fase è la prova da parte dell'accusa ovvero un'idonea contrastante allegazione da parte del terzo sulla effettiva titolarità del bene;
- dalla pacifica giurisprudenza in materia di sequestro e confisca di prevenzione, ove valgono i medesimi principi (anche per l'identità delle disposizioni in tema di disponibilità) per l'accertamento della disponibilità indiretta. Non si dubita, ad esempio, che il terzo possa dedurre la propria disponibilità anche attraverso la percezione di redditi fiscalmente non dichiarati[5].
L'origine eventualmente illecita del denaro utilizzato per acquistare il bene da parte del terzo non è indifferente all'ordinamento, essendo doveroso l'avvio dei procedimenti consentiti per sanzionare l'effettivo titolare. Di volta in volta, dunque, si potrà verificare l'esistenza di illeciti penali che consentano di adottare misure reali nei confronti del medesimo bene ovvero di altri tipi di illeciti. Nel caso, in particolare, di allegazioni ritenute credibili fondate su redditi provenienti da evasioni fiscali si dovrà e si potrà procedere per i ravvisabili illeciti amministrativo o penale.
In conclusione, nel caso in esame l'allegazione della terza intestataria, sulla effettiva disponibilità attraverso la capacità patrimoniale di acquistare l'immobile con redditi derivanti da attività lecita, non poteva essere disattesa escludendo la rilevanza di tali redditi solo perché non dichiarati fiscalmente. Occorreva, invece, verificare la serietà dell'allegazione sia in ordine alla consistenza di tali redditi (sembra difficile ritenere tale l'avvenuta contestazione degli organi accertatori in sede fiscale[6]) che relativamente al loro utilizzo per l'acquisto dei beni sequestrati.
Nella sentenza in esame la Corte, forse per le modalità con cui era formulato il ricorso, ha ritenuto, invece, di sviluppare argomenti che sembrano riferibili all'indagato (provenienza lecita o illecita, rilevanza dell'evasione fiscale).
4 - I presupposti del sequestro e della confisca del bene nella disponibilità, diretta o indiretta, dell'indagato e del condannato.
4.1 - I principi applicabili in tema di giustificazione da parte dell'indagato o dell'indagato.
Si è ricordato che secondo l'art. 12-sexies D. L. 306/92, conv. in L., 365/92 nel caso di condanna o di applicazione della pena ex art. 444 c.p.p. per determinati delitti «è sempre disposta la confisca del denaro, dei beni o delle altre utilità di cui il condannato non può giustificare la provenienza e di cui, anche per interposta persona fisica o giuridica, risulta essere titolare o avere la disponibilità a qualsiasi titolo in valore sproporzionato al proprio reddito, dichiarato ai fini delle imposte sul reddito, o alla propria attività economica».
Trattasi di disposizione solo in parte coincidente col testo dell'art. 2-ter della L. 575/65 (oggi artt. 22 e 24 d. l.vo 159/11[7]).
L'art. 12-sexies evidenzia una diversa tecnica normativa tra disposizione penale (che descrive i presupposti della sola confisca) e di prevenzione (che delinea anche i presupposti del sequestro e della revoca del sequestro) e l'impossibilità di sovrapporre le due disposizioni in tema di confisca, penale e di prevenzione, mancando nella seconda ogni riferimento alla provenienza illecita del bene, presente nella prima («nonché dei beni che risultino essere frutto di attività illecite o ne costituiscano il reimpiego»).
La pronuncia di una sentenza di condanna per un fatto reato tipizzato dal legislatore consente un provvedimento ablativo nei confronti del patrimonio del condannato sulla base del solo presupposto della sproporzione tra redditi o attività e valore del bene, sempre che costui non ne dimostri la legittima provenienza. Secondo la giurisprudenza della Cassazione non occorre alcun riferimento alla provenienza illecita del bene perché il legislatore, «individuati delitti particolarmente allarmanti, idonei a creare una accumulazione economica, a sua volta possibile strumento di ulteriori delitti, pone una presunzione, iuris tantum, di origine illecita del patrimonio "sproporzionato" a disposizione del condannato per tali delitti»[8].
Senza soffermarsi su tale principio (che, comunque, fa riferimento presuntivamente all'origine illecita del patrimonio secondo terminologie che evocano la sufficienza indiziaria della provenienza illecita richiesta nel sequestro di prevenzione), in questa sede va sottolineato che secondo la costante giurisprudenza non occorre un nesso di pertinenza tra i beni confiscabili ed il reato per cui è stata pronunciata condanna e nemmeno tra questi beni e l'attività criminosa del condannato[9]. La confiscabilità dei beni è correlata esclusivamente alla condanna del soggetto che di quei beni dispone, per uno dei reati oggetto dell'elenco di cui all'art. 12-sexies cit., senza che siano necessari accertamenti relativi alla "attitudine criminale"[10].
Sembra pacifico in giurisprudenza[11] (nonostante la diversa affermazione contenuta nella sentenza in commento) l'ulteriore principio secondo cui, nel valutare la sproporzione tra il valore dei beni posseduti dall'interessato rispetto al reddito dichiarato o all'attività economica esercitata, tali elementi (redditi e attività) sono indicati alternativamente[12].
Dai principi esposti deriva che l'indagato o il condannato possono giustificare la provenienza del bene solo se lecita ovvero con redditi o proventi leciti. Tale conclusione trova conferma anche nella giurisprudenza che ritiene assoggettabile a sequestro e successiva confisca il bene legittimamente acquistato e migliorato con denaro di provenienza non giustificata, ma soltanto limitatamente alla quota ideale che corrisponde a tale incremento di valore[13].
Il principio ora esposto è condiviso anche dalla sentenza in commento quando richiama quale presupposto per un'idonea giustificazione «fonti di produzione del patrimonio ... identificabili, ... lecite, e (che) ne giustifichino la titolarità in termini non sproporzionati ad esse».
4.2 - La valutazione del reddito non dichiarato a fini fiscali.
Occorre esaminare il punto centrale della sentenza in commento, vale a dire se possano essere utilizzati a giustificazione (per evitare il provvedimento ablativo) da parte dell'indagato o del condannato i redditi non dichiarati a fini fiscali.
Pur se il ragionamento è svolto dalla Corte (come evidenziato in precedenza) nella valutazione di un reddito da evasione fiscale allegato da un terzo intestatario (per il quale si applicano diversi principi), si fa inequivoca applicazione di principi riferiti all'indagato e al condannato e alla possibilità da parte di costoro di giustificare la provenienza del bene anche con redditi non dichiarati fiscalmente. Occorre, dunque, esaminare il ragionamento e le conclusioni del Supremo Collegio, che sembrano porsi in contrasto con un diverso orientamento giurisprudenziale espresso -in particolare - in materia di sequestro e confisca di prevenzione.
La Corte, tenuto conto dell'alternatività tra dichiarazioni fiscali e attività economica previste dalla norma (cfr. supra), «quest'ultima normalmente produttiva di reddito imponibile», ritiene "irrilevante" che le fonti giustificative «siano identificabili nei redditi dichiarati a fini fiscali piuttosto che nel valore delle attività economiche che tali entità patrimoniali producano, pur in assenza o incompletezza di una dichiarazione dei redditi».
Secondo il Supremo Collegio una diversa conclusione comporterebbe l'espropriazione del patrimonio non per una presunzione di illiceità, in tutto o in parte, della sua provenienza ma per il solo fatto della evasione fiscale, in contrasto con «la ratio dell'istituto in questione, che mira a colpire i proventi di attività criminose e non a sanzionare la infedele dichiarazione dei redditi, che si colloca in un momento successivo rispetto a quello della produzione del reddito, e per la quale soccorrono specifiche norme in materia tributaria, non necessariamente implicanti responsabilità penali».
L'articolato ragionamento della Corte sembra viziato nella stessa premessa, quando individua la centralità della disposizione nella necessità di «colpire i proventi di attività criminose», sottovalutando la lunga elaborazione giurisprudenziale (le cui conclusioni si sono esposte in precedenza) secondo cui non solo non occorre un nesso di pertinenza tra i beni confiscabili ed il reato per cui è stata pronunciata condanna, ma neanche tra questi beni e l'attività criminosa del condannato.
Pur condividendosi il ragionamento della Corte, quando afferma che la disposizione non mira a sanzionare l'evasione fiscale o a comportare illegittime espropriazioni, deve però osservarsi che la ratio dell'istituto e la lettera della norma consentono all'indagato e al condannato (a differenza del terzo intestatario, per quanto detto) di giustificare la (legittima) disponibilità del bene solo attraverso idonei compendi patrimoniali di origine lecita, non potendo assumere alcun rilievo un reddito illecito, qualunque sia la natura dell'illiceità[14]. Un reddito di provenienza illecita non può essere posto a fondamento della giustificazione dell'acquisto di un bene da parte dell'indagato o del condannato perché ciò contrasterebbe (e consentirebbe elusioni) col disposto e con la ragion d'essere dell'art. 12-sexies.
Ciò premesso, si possono applicare (schematicamente) i principi enucleati qualora si sia in presenza di redditi non dichiarati al fisco da parte dell'indagato o del condannato:
- l'indagato o il condannato possono giustificare l'acquisto dei beni che appaiono sproporzionati rispetto al reddito dichiarato a fini fiscali attraverso redditi di natura lecita;
- devono ritenersi di natura lecita anche[15] i redditi provenienti da attività economica lecita, pur se non dichiarati a fini fiscali (per la ratio della norma e per l'alternatività tra redditi e attività economica indicati nella norma);
- è onere della parte allegare seriamente, in assenza di reddito fiscalmente dichiarato, l'esistenza di un'attività economica lecita, vale a dire di un'attività non solo in sé lecita (cioè consentita dall'ordinamento), ma che trovi anche origine lecita. Non può, infatti, essere giustificato l'acquisto di un bene attraverso redditi (non dichiarati) derivanti da attività lecita ma avviata con denaro illecito, per l'evidente conseguenza elusiva rispetto alla ratio della norma (reimpiego di provento illecito);
- allegata (in modo serio e credibile) la liceità dell'attività economica (e del suo avvio) possono derivare da essa redditi complessivamente ricavati leciti, anche se non dichiarati fiscalmente (pur con le precisazioni che seguono). Tali redditi, però, non essendo stati dichiarati ed assoggettati agli oneri derivanti dalla legislazione fiscale e tributaria divengono illeciti nella quota-parte che doveva essere versata al fisco, indipendentemente dalla sussistenza dell'illecito amministrativo o penale (a seconda delle soglie previste). È ulteriore onere della parte, dunque, dimostrare e quantificare la parte non illecita (depurata dagli importi dovuti al fisco) che poteva essere utilizzata per acquisire il bene sequestrato.
Deve ritenersi, dunque, diversamente da quanto affermato dalla Corte, che a giustificazione dell'acquisto del bene l'indagato e il condannato possono addurre redditi fiscalmente non dichiarati prodotti da attività lecita (anche nella sua origine) solo al netto delle somme provento (illecito) di evasione fiscale. Una diversa conclusione sarebbe in contrasto con la ratio e la lettera dell'art. 12-sexies l. 356/92.
In tal senso possono richiamarsi recenti conclusioni del Supremo Collegio in tema di sequestro penale ex art. 12-sexies l. 356/92[16] e, vigendo i medesimi principi, la giurisprudenza formatasi con riferimento al sequestro e alla confisca di prevenzione[17].
Va, infine, precisato che l'indagato o il condannato hanno l'onere di allegare la parte di reddito derivante da attività lecita (ma non dichiarato a fini fiscali), non solo detraendo la parte che doveva essere corrisposta al fisco (perciò illecita), ma assolvendo anche con puntualità alla dimostrazione dell'entità e della natura lecita di tale reddito:
- da un lato, è necessaria l'esistenza di elementi, anche documentali, sull'effettiva produzione del reddito; dimostrazione non agevole proprio perché si è in presenza di redditi non dichiarati, per i quali normalmente la stessa parte mirava a non lasciare traccia per evitare successivi accertamenti fiscali;
- dall'altro, occorre puntuale allegazione della piena liceità del reddito non dichiarato fiscalmente che, notoriamente, presenta ampi margini di derivazione illecita conseguente all'omesso rispetto di normative di diversa natura (tenuta della documentazione contabile, versamenti contributivi, etc.).
A ciò si aggiunge, in particolare in presenza di attività economiche poste in essere da esponenti della criminalità organizzata di tipo mafioso o comunque economica, che lo stesso importo "guadagnato" con l'evasione fiscale può essere reinvestito nell'azienda e, essendo reddito (reimpiego) di origine illecita, comporta l'illiceità degli ulteriori redditi prodotti. Ne consegue che la sistematica evasione fiscale (e/o contributiva etc.) rende problematico lo "scorporo" dei proventi illeciti da quelli leciti che, giova ricordarlo, è onere dell'interessato e che, se non assolto, comporta, la confisca del bene.
[1] Cfr. ad esempio, decreto del 5 luglio 2011, pres. ed est. Menditto, pubblicato su http://archiviodpc.dirittopenaleuomo.org/materia/6-misure_di_prevenzione/, ove si esamina la giurisprudenza in materia di correlazione temporale tra acquisto dei beni e pericolosità del proposto nella confisca di prevenzione e si rilevano frequenti richiami, non sempre convincenti, dei principi posti in materia di sequestro e confisca ex art 12-sexies l. 356/92 con riferimento alla connessione temporale tra acquisto dei beni ed epoca di commissione del reato. Si rileva anche un'impropria assimilazione della natura della confisca di prevenzione con la confisca ex art. 12-sexies l. 356/92.
[2] Per procedere al sequestro occorrono due condizioni (SSUU 920/03; recentemente: S.C. sentenze nn. 15908/07, 27710/08, 9218/09, 16207/10, 19516/10):
a) il fumus di una delle fattispecie criminose indicate nella citata norma, consistente nell'astratta configurabilità di una delle ipotesi previste, senza che rilevino né la sussistenza degli indizi di colpevolezza, né la loro gravità dovendo solo accertarsi l'astratta configurabilità del reato ipotizzato. È operato, dunque, un controllo di legalità nell'ambito delle indicazioni offerte dal pubblico ministero, senza però apprezzarne in punto di fatto la coincidenza con le reali risultanze processuali che vanno valutate così come esposte, al solo fine di verificare se consentono di sussumere l'ipotesi formulata in quella tipica;
b) il "periculum in mora", vale a dire la presenza di seri indizi di esistenza delle medesime condizioni che legittimano la confisca, sia per ciò che riguarda la sproporzione del valore dei beni rispetto al reddito o alle attività economiche del soggetto, sia per ciò che attiene alla mancata giustificazione della lecita provenienza dei beni stessi.
[3] S.C., sent. nn. 5263/2000, 3091/2001, 11732/05.
[4] S.C., sent. nn. 11049/01, 27556/10 (in motivazione).
[5] S.C., sent. n. 2181/99, in motivazione: «Ora, come si è visto, tra le attività illecite della persona sottoposta a misura di prevenzione, v'è anche l'evasione fiscale: e ciò anche se sia stata chiesta ed ottenuta l'applicazione del condono così detto "tombale". Ma questa regola, volta a sanzionare più efficacemente chi è indiziato di appartenere ad associazioni di tipo mafioso, non vale certamente per i terzi estranei, per i quali dovrà tenersi conto -ai fini di accertare la loro effettiva capacità di acquisizione del patrimonio - anche dei redditi non dichiarati al fisco, e per i quali è stato effettuato il condono. Alla stregua delle superiori considerazioni appare evidente che l'impugnato decreto deve essere annullato nei confronti delle ricorrenti S M A e S N; gli atti vanno rinviati per nuovo giudizio alla Corte di appello di Lecce, che si atterrà ai principi di diritto sopra enunciati».
[6] Cfr. il paragrafo che segue in ordine alla difficoltà di allegare redditi non dichiarati fiscalmente.
[7]Sono previsti:
- il sequestro per i beni di cui la persona possa disporre, direttamente o indirettamente, quando il loro valore risulta sproporzionato al reddito dichiarato o all'attività economica svolta ovvero quando, sulla base di sufficienti indizi, si ha motivo di ritenere che gli stessi siano il frutto di attività illecite il reimpiego;
- la confisca dei beni sequestrati di cui la persona, nei cui confronti è instaurato il procedimento, non possa giustificare la legittima provenienza e di cui, anche per interposta persona fisica o giuridica, risulti essere titolare o avere la disponibilità a qualsiasi titolo in valore sproporzionato al proprio reddito, dichiarato ai fini delle imposte sul reddito, o alla propria attività economica, nonché dei beni che risultino essere frutto di attività illecite o ne costituiscano il reimpiego.
[8] SSUU, sent. n. 920/03, Montella.
[9] Per sequestro e confisca di prevenzione si evocano principi analoghi: non occorre nel provvedimento ablativo, l'individuazione di un nesso causale fra presunta condotta mafiosa (ovvero, per gli indiziati dei delitti ex art. 51 comma 3.bis c.p.p. e c.d. pericolosi semplici, con la condotta illecita che ha consentito di riconoscerne la pericolosità) ed illecito profitto, essendo sufficiente la dimostrazione dell'illecita provenienza dei beni confiscati, qualunque essa sia (Cass. Sez. 1, 15/1/1996, Anzelmo, rv. 204036; Sez. 2, 26/1/1998, Corsa, rv. 211435; Sez. 2, 6/5/1999, Sannino, rv. 213853; S.C. sent. nn. 36762/03, 35481/06, 47798/08).
[10] SSUU 920/03 Montella, 5452/10 8404/09, 10756/09 38429/08.
[11] La Corte richiama:
- Sez. 1, n. 2860 del 10/06/1994 secondo cui Per l'applicazione del sequestro previsto dall'art. 12 - "sexies" D.L. 22 aprile 1994 n. 246 non è necessario che si dia specifica indicazione della provenienza da illecito del bene ritenuto sproporzionato allo stato patrimoniale del soggetto. Invero il presupposto per la confisca - e per il sequestro preventivo, funzionale a tale misura ablativa - è unicamente costituito dalla sola circostanza inerente alla sproporzione tra valore del bene e situazione patrimoniale del soggetto che non ne ha potuto giustificare la provenienza, ben potendo la medesima non essere illecita, in quanto l'art. 12 - "sexies" citato mira a sottrarre la disponibilità patrimoniale dei beni a soggetti nei cui confronti sono stati instaurati procedimenti penali per i reati elencati nel suo primo comma, a prescindere dalle maniere con cui sono entrati nei loro patrimoni o nella loro disponibilità. (Non risultano precedenti);
- Sez. 1, n. 5202 del 14/10/1996, secondo cui Al fine di valutare la legittima provenienza dei beni di cui l'art. 12 sexies D.L. 22 aprile 1994 n. 246 consente il sequestro preventivo e la confisca, i parametri legislativi, indicati nella sproporzione fra il valore dei beni e il reddito dichiarato, o fra detto valore e l'attività economica, sono alternativi e non concorrenti.
[12] Da ultimo S.C. sent. n. 39048/2007
[13] S.C. sent. nn. 21079/10, 26848/10.
[14] Cfr. anche il paragrafo precedente in materia di misure di prevenzione reali.
[15] Sono di natura lecita, ad esempio, acquisizioni ereditarie, proventi che non devono essere dichiarati al fisco, etc..
[16] S.C. sent. n. 36913/2011 in motivazione: «In particolare, con particolare riferimento al caso - del tutto analogo a quello in esame - in cui l'interessato ha provveduto ad aderire ad un condono fiscale, si è ritenuto che "non assume rilievo la circostanza che, a seguito del perfezionamento dell'iter amministrativo del c.d. condono 'tombale', le somme di cui all'evasione fiscale siano entrate a far parte legittimamente del patrimonio del prevenuto medesimo, dal momento che l'illiceità originaria del comportamento con cui se le è procurate continua a dispiegare i suoi effetti ai fini della confisca».
[17] S C. Sent. nn. 258/1998, 2181/99, 36762/03, ove è chiaro il riferimento all'illiceità dei redditi derivanti da evasione fiscale o tributaria in genere, pur in presenza del c.d. "condono tombale" (pur se non si affronta la questione della valutazione "al lordo o al netto")